Diciamocelo francamente, già solo come parola la dice lunga e non è un gran che, non ha un suono armonioso: un maschile duro con quella “z” nel mezzo che certo non aiuta, il prefisso “pre” annuncia chiaramente che i giochi sono fatti prima ancora di iniziare e “giudizio” ti stende subito a terra, come una sentenza di tribunale senza possibilità di appello. Usata al plurale la parola è ancora più temibile, quasi un esercito in assetto di guerra eppure va molto di moda dichiararsi pacifisti.
Quale la forma del pregiudizio? Quadrata? Rotonda? A punta? O forse proteiforme, contorni in costante mutazione suscettibili di assumere i più svariati aspetti. E quale il suo colore? Verrebbe da dire nero visto che alberga negli anfratti più oscuri e celati dell’animo umano, ma il nero, assenza di tutti i colori o combinazione di più pigmenti, è comunque bellissimo e si potrebbe offendere di essere tirato in ballo.
Maledettamente difficile dare un volto a una parola astratta, astratta per modo di dire visto che ha la capacità di solidificarsi in pensieri, comportamenti e atti che fanno male, eccome se fanno male, certo è però che il pregiudizio non lo vuole nessuno. Chi lo nutre non ne è consapevole o preferisce non esserlo, si sente un giglio immacolato, saltan fuori affermazioni tremende, ma dal pregiudizio se ne dichiarano tutti immuni, candidamente innocenti come dei neonati.
Chi lo subisce è stufo di portarne il carico, camminerebbe molto più spedito e leggero senza quel fardello. Fra gli uni e gli altri si inserisce apparentemente innocente il silenzioso ascolto di chi sta intorno e l’ignoranza li accomuna tutti in brutta compagnia. Dal personale si giunge così al collettivo, il pregiudizio si gonfia a dismisura e diventa un modo di pensare, una realtà comunemente accettata, una certezza ovvia.
Sostantivo profondamento umano il pregiudizio, esclusivo appannaggio del bipede eretto, il solo in grado di formulare raffinate alchimie mentali, le più nobili come le più abbiette. Il pregiudizio è come una freccia avvelenata pronta a scoccare da puntare contro qualcuno. Serve sempre “un altro”, uno percepito come diverso o un "barbaro" venuto da fuori, come i romani definivano gli stranieri, senza bersaglio il pregiudizio non avrebbe più ragione di essere, che gusto c’è a tirar nel vuoto?
Stiamo tranquilli per “Negri Froci Giudei & CO.” come titolava un suo scritto il giornalista Gian Antonio Stella, loro sono sempre saldamente in pole position e non temono concorrenti, ma la lista in realtà è molto lunga e bisogna stare all’erta perché il nostro è abilissimo nel vestirsi e travestirsi; da virus silente può sonnecchiare per anni, ha l’aria innocua, magari sembra non fare danni, salvo scoppiare poi in una pandemia, la storia ne sa qualcosa, è già successo.
Il pregiudizio? Fermiamoci, pensiamoci su, urge conoscerlo per saperlo riconoscere.
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