Quell’anno la villetta dei coniugi Sheen fu votata come casa meglio decorata per Halloween di tutta la città.
Con dispetto e risentimento da parte della signora Callaghan.
- Sono degli snob, non hanno mai fatto vita di quartiere e adesso cos’è questa novità dei decori… per poi andare in vacanza e non aprire ai bambini?
L’acredine durò qualche giorno ma la giuria non si fece avvelenare dalle insinuazioni della Challagan e alla fine decretò che la scenografia degli Sheen fosse la più raccapricciante di tutte le edizioni del concorso. Così dopo qualche giorno si presentò al gran completo sotto la casa degli vincitori con la targa di riconoscimento. I decori non erano stati ancora tolti.
Quel giorno Clarence Sheen dormì per l’intero pomeriggio. Si alzò a sedere sul letto. La borsa del ghiaccio che aveva tenuto sugli occhi le cadde in ventre. Strinse l’accappatoio indossato sopra i vestiti e rabbrividì. Andò in bagno.
La luce le si conficcò negli occhi. Quando li riaprì lo specchio le rimandò un’immagine di sé opaca e incisa. Si osservò il viso. Girò la testa da entrambi i lati.
Doveva pettinarsi. I bei capelli biondi dal colore curato erano arruffati, aridi. Doveva truccarsi. Gli sfregi delle rughe e il rossore delle guance ancora addormentate sarebbero stati sepolti dal fondotinta. Doveva vestirsi. Con il vestito adatto tutto sarebbe andato al suo posto. Non si sarebbero più visti i postumi di quella sbronza durata quasi quindici anni. Aveva organizzato tutto per la notte di Halloween, da settimane.
Insieme al party planner aveva studiato le decorazioni “deliziosamente mostruose”, come le aveva chiamate la sua vicina, del giardino. Il patio della casa era ricoperto di candele e grandi lampioni a forma di zucca. Sulle travi del portico veleggiavano, agli aliti del vento, le ragnatele. Le luci a forma di teschio dondolavano. Lecca lecca giganti erano stati conficcati ai lati del vialetto e degli spot luminosi erano stati programmati per illuminare ora l’una ora l’altra decorazione: dalla sagoma del gatto nero, alla finta lapide, all’albero spoglio del giardino.
Clarence lanciava di tanto in tanto occhiate fuori dalla finestra del bagno. Oramai era quasi buio e doveva sbrigarsi. Si passò più mani di polvere di riso e si mise il rossetto comperato per l’occasione. “Rosso inferno”, c’era scritto sulla ghiera del cilindretto dorato. Era perfetto.
Cominciò a truccare gli occhi. Stantuffò lo spazzolino del rimmel, lo caricò serrando con forza il tubo in una mano e roteando decisa l’altra. Lo avvicinò alle ciglia. Tremava. Lo spazzolino si agitava così tanto davanti alla giada delle sue iridi che finì per colpirle un occhio. Lasciò la presa e il lavandino si strisciò di fiele color catrame.
Strinse forte gli occhi. Bruciavano. Iniziarono a lacrimare. Portò le mani alle palpebre e strofinò per alleviare il dolore. Non cessò. Un ruscello afono decolorò la cipria color porcellana, aprendo dei solchi nel suo bel viso ovale.
Si massaggiò gli occhi, allontanò le lacrime strisciandole via, strofinò il viso, pulì le narici gocciolanti con il dorso delle mani. Alla fine riuscì a riaprirli. Si guardò. Tutto il suo curato trucco da geisha era rovinato.
Sorrise a se stessa con un sorriso che non s’era più vista in volto da quando aveva otto anni.
Scese di corsa le scale, scalza. Si fermò un attimo. Girò gli occhi per tutto il soggiorno, indugiò sul vassoio dei dolcetti, erano tutte caramelle a forma di verme. Riprese a correre per il lungo corridoio, afferrò la cosa che aveva nascosto dietro la porta di casa e uscì in giardino per terminare l’allestimento della notte di Halloween.
Quando il marito tornò a casa parcheggiò in strada con il motore acceso. Entrò, la chiamò più volte. Non sentendola rispondere sollevò le spalle e andò dritto in soggiorno a prendere le valige. Le trascinò tutte nel patio illuminato dalle luci delle decorazioni. Mentre prendeva l’ultima afferrò una manciata dei vermi di gelatina di frutta e se li mise tutti in bocca.
All’ingresso levò le chiavi dalla toppa, tentò di togliere la targa di ottone del cognome ma desisté quasi subito. Con un gesto veloce tolse il portachiavi e gettò le chiavi sul tappeto in mezzo all’ingresso. Non fecero il minimo rumore. Chiuse il portoncino.
Fece più volte la spola dal patio alla macchina, portando le valigie, illuminato con un effetto stroboscopico dai faretti intermittenti che diffondevano il loro fascio di luce sugli allestimenti del giardino.
Quando il comitato della giuria arrivò alla casa degli Sheen era pomeriggio.
Le loro scarpe sciabordavano per il vialetto dalle grandi magnolie. Nel patio trovarono un ragazzo che stava tirando un cavo elettrico che usciva da una finestra. Qualcuno fece per suonare il campanello.
- Non ci sono – disse il party planner – voi sapete dove possa essere la signora?
- Sono in vacanza – fece la signora Challagan, guardando sghemba.
- No, non la signora di sicuro: avevamo appuntamento… ma devo portare via la roba prima che si rovini – disse il ragazzo ritornando al suo lavoro.
Qualcuno guardava dentro le finestre, qualcun altro andò verso il garage, la Challagan attraversò il giardino madido e si diresse sul retro. Chi rimase sotto il patio chiese:
- Vuole una mano almeno con i decori esterni? Ormai siamo qui.
In pochi minuti fu caricato quasi tutto sul furgone: rimanevano le luminarie e la strega appesa all’albero spoglio. Qualcuno trovò una sedia sotto l’albero. Salì e afferrò il fantoccio per una caviglia e iniziò a tirare.
- La lasci pure lì quella, è della signora Sheen! – urlò il party planner da dietro un’enorme zucca arancione.
Il giurato del concorso “Scary Haunted House” con voce di latta rispose:
- Questa è la signora Sheen.
Clarence SheenValentina Iaccarino fotografa Valentina Iaccarino
Collettivo Fotografico Matrioska