Il presepe è la rappresentazione tangibile e visibile della tradizione, non solo come devozione per il Salvatore , ma anche come espressione di tutti i simboli del codice onirico della tradizione (quali il ponte, il pozzo, la fontana, il mulino, il fiume, l’osteria) vissuti da personaggi tipici di leggende, credenze, superstizioni popolari in una commistione di sacro e profano, magia e religione.
Tra i personaggi del presepe napoletano c’erano figure un po’ tetre, alcune demoniache, ritenute depositarie di messaggi terrificanti e perciò, probabilmente, pian piano sono scomparse ma sopravvivono nella costante presenza del pozzo, del ponte e dell’acqua.” (da “La storia infinita del presepe napoletano: i tetri personaggi del presepe, ormai scomparsi” in skipblog.it)
Tant’è che il presepe non è mai collocato in camera da letto e viene circondato da erbe magiche, che allontanano esseri maligni, quali la mortella, il muschio, il pungitopo, il rosmarino e il vepere (arbusto spinoso detto “restina” utilizzato nelle composizioni floreali) e a fine allestimento è irrorato da incenso. Gesti rituali che sospendono il tempo quotidiano e fanno coesistere passato e presente, demoni e santi quasi in una funzione che esorcizza il male e gli spiriti della morte, perciò si potrà trovare un presepe anche nelle cripte cimiteriali.
Napoli è simbiosi di vita e di morte, entrambe celebrate e consacrate attraverso funzioni, devozioni e rituali che confluiscono nel radicato culto dei morti e il presepe napoletano è una porta rituale tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.
La morte è rappresentata dalla farina, dal mulino, dagli orientali e dall’uomo sulla scala che raccoglie fichi. Nel presepe però compaiono spesso i mendicanti, i poveri, gli storpi, i ciechi che patiscono stenti, fame e privazioni nei quali prendono forma le anime “pezzentelle” (dal latino petere che significa chiedere), anime che chiedono ai vivi una preghiera e i vivi, in cambio di un favore, pregano per queste anime abbandonate del purgatorio che fanno da tramite tra la vita terrena e quella ultraterrena. Il limite tra la fede – tradizioni popolari e la superstizione è sottile, ma i devoti sentono più vicini a loro le anime pezzentelle di umili origini nelle quali ritrovano comuni miserie, sofferenze e solitudini.
Anche i bambini, che da poco hanno lasciato il limbo prenatale e sono più vicini degli adulti al mondo infero di provenienza, sono da considerarsi creature bisognose. Le offerte di dolci e di doni alimentari ai poveri e ai bambini durante le feste natalizie in fondo sono come offerte funerarie e non a caso i mendicanti chiedendo l’elemosina spesso dicono “refrisc ’e ll’anime d’o priatorio oppure facite bene ‘e ll’anime d’o priatorio”(fate bene all’anime del Purgatorio) .
I questuanti compaiono nel presepe perché , secondo un’antica credenza napoletana, i morti vagano sulla terra dal 2 novembre al 6 gennaio, per poi tornare nell’oltretomba. Per questa ragione tanto tempo fa in alcuni presepi il 17 gennaio si toglievano dalla grotta i personaggi della Natività e vi si mettevano le figurine delle anime purganti.
Anche la costante presenza delle pecore implica un collegamento con gli inferi. Nella favola di Mamma Sirena ( vedi qui) il protagonista canta presso il mare per fare tornare la sorella prigioniera negli abissi. Le pecore che mangiano le perle che cadono dai capelli della fanciulla, acquistano il potere di vaticinio riuscendo a svelare misteri e fare oracoli. Anche nel cunto di Aniello e Anella del Basile, per effetto di un’acqua sorgiva, il protagonista diviene agnello e può entrare in contatto col mondo sotterraneo e acquistare capacità divinatorie. In fondo spesso nelle antiche ninne nanne meridionali si parla di pecorelle sbranate da lupi, e la loro melodia è come quella delle lamentazioni funerarie proprio perché il sonno indotto dalla ninna nanna è associato al sonno eterno della morte. Le pecore sono quindi o le anime dei morti dotate di poteri oracolari, o rappresentano bambini o defunti che rischiano di smarrirsi nelle tenebre degli inferi e infatti antiche divinità dei defunti appaiono con bastoni pastorali e con la testa di cane, come custodi e guida delle anime. Secondo l’antica tradizione presepiale i due carabinieri o le sentinelle non sarebbero altro che gli angeli carcerieri che vigilano sulle anime purganti rappresentate dalle prigioni, e non a caso nei presepi confluiscono tra le statuine tradizionali anche personaggi morti durante l’anno e molto sentiti e apprezzati , come accadde con Eduardo De Filippo o papa Giovanni XXIII.
Pietas e culto dei morti sono radicati nella devozione popolare per le anime pezzentelle, praticata nel cimitero delle Fontanelle nell’antico quartiere della Sanità (qui) e negli ipogei , di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco in via dei Tribunali, di sant’Agostino alla Zecca e di san Pietro ad Aram. La schiera delle più famose anime purganti che per lungo tempo hanno vissuto e vivono nelle credenze popolari – come ricorda il più grande esperto delle tradizioni e della cultura napoletana, cioè Roberto De Simone -annovera Stefania, Lucia, monache e monaci, soldati , marinai e carabinieri, coppie di giovani (Mario e Renato in sant’Agostino alla Zecca, Alfonsino e Ninuccio in Santa Maria delle Anime del Purgatorio), e ancora, nel cimitero delle Fontanelle, i due sposi dipinti nelle catacombe di San Gaudioso, Concetta la lavandaia, Zi’ Pascale ‘o lucandiere, i quattro bambini uccisi Peppeniello, Rituccia, Antonietta e Papiluccio, il dottor Giordano e D’Ambrosio, Pascale o’ marucchino, Luciella a’ zingara, mendicanti ciechi, la monaca uccisa, Zì Taniello ‘o farenaro, Zì Giustina ‘a pustiera, o’ Capitano e infine nell’ipogeo di San Pietro ad Aram la lavandaia Candida, la monaca Lucrezia, la zingara Lucia, il pescatore dai capelli rossi, marinai e soldati, i due carabinieri i giovani Marettiello e Gennariniello, i due giudici sconosciuti e la famosa – aprite bene gli occhi- Maria ‘a purpettara (Maria che cucina le polpette), un’ostessa che puniva i mariti infedeli apparendo in sogno con polpette avvelenate che causavano dolori simili alle doglie.
Tante anime pezzentelle, a volte lambite da fiammelle, che sembrano darsi appuntamento nel presepe “In conclusione, dalla frequente ricorrenza di medesimi personaggi che compaiono sia come figurine presepiali sia come immagini di defunti ritualizzati, si può individuare la presenza di un unico tessuto religioso di tipo animistico, composto da elementi archetipali che sembrerebbero riferirsi ad antiche divinità infere” (da “ il Presepe popolare napoletano” di Roberto De Simone)
Nel presepe napoletano si riproduce anche questo mondo sommerso con il quale, tra storia e leggende, fede e superstizione, i napoletani si conciliano sia per esorcizzare la paura della morte, sia per accogliere le anime purganti che lasciano intravedere non solo il destino dell’umanità di sempre, ma anche una speranza di redenzione dei vivi e dei morti per scattare in avanti nella vita terrena e ultraterrena.
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