Da 200.000 a quasi tre milioni di euro: queste alcune delle quotazioni raggiunte dalle fotografie dei grandi maestri nel mercato dell'arte. Sono cifre alte? Basse? Assurde? Ragionevoli? Non lo so. Certo fanno pensare, soprattutto se si cerca di mettere il tutto in prospettiva. La gran parte delle cifre spaventose grazie alle quali le fotografie di Araki, Giacomelli,
Ansel Adams o Stieglitz cambiano di mano, finiscono nelle tasche di pochi speculatori, molto di rado in quelle degli autori o dei loro eredi. Ce n'è abbastanza, insomma, per pensare che sia la speculazione a muovere il mercato, mentre il valore intrinseco delle opere rimane un po' sullo sfondo, alla mercé di critici prezzolati e operatori interessati (case d'asta, mercanti, gallerie). Comunque, se c'è chi è disposto a spendere milioni di dollari per accaparrarsi una fotografia di Andreas Gursky o di
Jeff Wall, per me sono fatti suoi. Quello che mi fa riflettere è, nel suo insieme, il mercato della fotografia. Perché oramai si è arrivati al punto di utilizzare come parametro di valutazione di un autore quello puramente economico. Più le foto di un certo autore salgono nelle quotazioni delle case d'asta, più questo indica che quell'autore è un grande
maestro. Ma è davvero così? La questione è complessa, perché non c'è dubbio che le opere dei grandi fotografi spuntano prezzi da capogiro, ma è anche vero che per gran parte della loro vita questi artisti hanno visto negate o sottovalutate le loro capacità. Solo in tarda età, o dopo la loro morte, c'è stato il vero riconoscimento, quello che in questa società dei consumi e del mercato davvero conta: le vendite a prezzi esorbitanti. Ansel Adams,
Edward Weston e molti altri vendevano le loro immagini, se andava bene, a poche migliaia di dollari. Adams per gran parte della sua vita ha dovuto esercitare la carriera di fotografo pubblicitario, dedicandosi solo part-time a quella pienamente artistica. E che dire di personaggi come Francesca Woodman o
Diane Arbus? Avrebbero visto crescere le loro quotazioni in modo così vertiginoso se non si fossero suicidate, interrompendo in modo tragico la loro carriera e le loro vite? Il mercato adora la rarità: gli autori che rifiutano questa logica, sono destinati a rimanere nelle retrovie, nonostante il valore intrinseco di assoluto livello. In fondo, è proprio la ricerca di una (presunta) rarità che ha portato a distorsioni come le tirature limitate, un'assurdità in una forma d'arte democratica come la fotografia, che proprio nella sua replicabilità assoluta (soprattutto oggi col digitale) trova uno dei suoi punti di forza (ma evidentemente di debolezza, per quel che riguarda il mercato). E' uno dei motivi per cui solo negli ultimi 20 anni si è sviluppato un serio interesse verso la fotografia come bene rifugio e investimento, cosa che ha comportato non poche complicazioni.
Henry Cartier-Bresson è unanimemente considerato uno dei più grandi fotografi della storia: eppure, come fotoreporter, non ha mai inseguito il mito della rarità delle proprie foto, anzi semmai il contrario! Perciò, sebbene le sue foto siano molto richieste, di rado hanno raggiunto quotazioni altissime, se non dopo la sua morte, nel 2004. Con tutto il rispetto per Andreas Gursky e la Scuola di Dusseldorf (fondata dai coniugi Becher), non credo che le loro opere possano essere considerate superiori a quelle di HCB solo perché "costano" molto di più! Insomma, la questione (che rimarrà senza risposta definitiva ancora a lungo) è: può l'arte essere considerata solo una merce? Certamente lo è e lo è stata anche in passato, ma è il valore economico di un'opera proporzionale al suo valore artistico? E dei fotografi contemporanei, viventi e non ancora suicidatisi, cosa diciamo? Che se hanno avuto delle ottime capacità imprenditoriali (o la fortuna di incontrare il gallerista giusto) sono dei grandi fotografi solo perché vendono le loro stampe (enormi e coloratissime) a prezzi stratosferici? E di quelli che lavorano in silenzio e nell'ombra che dobbiamo dire? Che se nessun mercante li scopre e li mette nel proprio libro paga, non valgono nulla? Forse ci sarebbe bisogno di riscoprire la democraticità dell'arte e della fotografia in particolare, tenendo conto che se è giusto che il fotografo venga pagato il giusto affinché possa vivere dignitosamente e continuare a produrre la sua arte, è altrettanto necessario che la
veraarte (popolare e vicina alla gente) stia lontana dalle pure e semplici speculazioni economiche. Questa è la mia opinione, almeno. Ma io sono un artista che ancora non è stato "scoperto"!