Caro Alfonso,
come promesso ti rispondo sul blog, perché ciò che hai scritto solleva un problema d’interesse comune.
“… Considerata la relatività di ogni conoscenza, in primis quella temporale, impegnarsi per cercare di capire, conoscere, piuttosto che sputtanarsi le giornate in una sala scommesse non fa differenza: entrambe le scelte si equivalgono nell’incapacità di riempire il vuoto scavato nell’anima dalla consapevolezza di sé. É così, caro il mio bischerello all’ormeggio; sai bene anche tu quanto sia vano andar per caverne in cerca del senso dell’esistenza; dal ché, tutta la conoscenza che puoi accumulare in vita vale quanto una barzelletta scritta sulla carta igienica”.
Ineccepibile il tuo assunto; carina anche la metafora, che lascia intravedere il destino scatologico della conoscenza; e ché altro dire: sei un filosofo con tanto di laurea, mica uno come me che ha letto qualche libro.
Peccato tu abbia ridotto il viaggio alla strada percorsa, il conoscere alla conoscenza. Se avessi considerato la natura di ciò che mettevi a confronto, ti saresti accorto che la tua equazione non è bilanciata, in quanto non si può comparare il senso della ricerca con ciò che produce, perché è questo che la ragione equivoca quando indossa l’elmetto da minatore; così facendo, poni l’intento che ha motivato l’azione su un piatto della bilancia e il prodotto dell’azione nell’altro. Va bene che tutto fa brodo, ma pesce e gallina nella stessa pentola…
Più avanti entri nel merito della scelta che ha cambiato il corso della tua vita: lasciarti sedurre dal fascino nichilista dell’ignavia: “tutto tutto, niente niente”, la doppia coppia perdente del poker che giochi contro te stesso; divertente all’inizio, perché c’è tanto da sfasciare, ma che a lungo andare ti svuota l’anima dall’interno.
Nell’ultima mia, ti chiesi se il dubbio di sprecare la vita non ti avesse mai sfiorato: da ciò che hai scritto credo che ti abbia centrato in pieno.
“… La risposta alla tua domanda la conosco bene, anche se non mi piace ricordarla; comunque, concluso che il valore di una vita vissuta in salita vale quanto le altre, non c’è ragione d’impegnarsi più di tanto. Salite e discese portano tutte nello stesso posto: in fondo al viale, sulla soglia del cancello che si apre sul nulla. Dunque meglio le discese, finché ce n’è; si fatica meno, il minimo necessario per non sbattere contro le stronzate della vita. E poi, in discesa capita pure di divertirsi…”
Eccoti di nuovo: sempre lo stesso errore di paragonare il divenire col divenuto, il vivere con la vita.
Da ciò che scrivi, deduco che tu ne abbia fatte di pedalate in salita prima di fare la scelta di evitarle. E non credere che le discese piacciano solo a quelli come te: non fosse altro che per poterne parlare, qualche “Nera” a rotta di collo me la sono concessa anch’io e, come scrivi tu, mi è capitato pure di divertirmi.
Il punto però, è che non puoi considerarli percorsi alternativi, perché scegliere di salire, pur sapendo che non c’è alcun “Premio della Montagna” in palio, richiede motivazioni difficili da trovare nella vita di tutti i giorni. Quel qualcosa che ti spinge a cercare spiegazioni a prescindere, che in fondo è il vero motore del conoscere, dovrà pur’essere alimentato dalla stessa forza che ti fa accettare la fatica di pedalare incontro al nulla. O credi che la scelta di arrendersi alla gravità dell’esistenza sia una questione di arte e non di volontà?
Lasciarsi andare giù per le discese è facile, per chi come te ha imparato a rubarla con destrezza la vita, invece di sprecare tempo a lavorare per comprarla nei supermercati.
Chissà, forse hai ragione tu; forse le salite che ci accolliamo per amore di verità non valgono le teste rotte di quelli che si ostinano ad amarci; forse conoscere vale quanto si può vendere il conosciuto al mercato delle vacche…
Però mi piacerebbe che l’intento di conoscere avesse il primato sulla conoscenza, a prescindere dalle “utilità” che produce. Credo basterebbe a far evolvere gli strati antropologici di umanità che ci tengono ancorati al medioevo tecnologico dei nostri tempi.
Forse mi sono perso in una delle utopie dove mi piace far merenda.
Comunque ti abbraccio.
Arvales presenta un nuovo intervento: Il primato del conoscere sulla conoscenza