Nato nel 1933 da un’idea del giallista Edgar Wallace e diretto – pur non essendo accreditati – dai produttori Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack (quest’ultimo poi regista anche del derivato Il re dell’Africa), come in molti sanno è il lungometraggio che convinse il neozelandese Peter Jackson – futuro autore delle trilogie Il Signore degli Anelli e Lo hobbit – ad intraprendere la difficile strada delle immagini in movimento, dopo averlo visto trasmesso in televisione nel 1970, tanto da spingerlo a curarne un remake trentacinque anni più tardi.
Generatore del sequel Il figlio di King Kong nello stesso anno della sua uscita nelle sale e, più tardi, di imitazioni (La sfida di King Kong), riletture trash (Queen Kong), varianti orientali (Il gigante dell’Himalaya), cross over con il giapponese Godzilla (Il trionfo di King Kong) e poco esaltanti versioni degli anni Settanta e Ottanta (i due King Kong prodotti da Dino De Laurentiis), King Kong rivive nella splendida qualità dell’alta definizione sotto il marchio Dynit, che lo include all’interno della sua collana dedicata alla storica casa di produzione RKO tramite una imperdibile ultimate edition.
Inserita in slipcase, infatti, abbiamo una custodia amaray contenente, insieme ad un interessante booklet, due blu-ray; il primo dei quali dispensatore sia a colori che in bianco e nero della pellicola incentrata sull’avventuroso produttore cinematografico senza scrupoli Carl Denham alias Robert Armstrong, approdato sull’Isola del Teschio per girare un film con protagonista la giovane disoccupata newyorkese Ann, incarnata dalla Fay Wray vista anche ne La maschera di cera di Michael Curtiz e ne Il vampiro di Frank R. Stayer.
Ed è dopo essere stata sorpresa a rubare in un mercato che quest’ultima viene scelta come attrice, senza, immaginare, però, di finire rapita dagli indigeni del posto per essere sacrificata al dio locale: il gigantesco gorilla da cui prende il titolo l’operazione.
Gigantesco gorilla che, magnificamente realizzato in stop motion dall’effettista Willis O’Brien, non solo si rivela immediatamente interessato alla ragazza, ma viene anche catturato e trasportato nella Grande Mela per essere esibito a pagamento; fino al momento in cui, riuscito a fuggire, comincia a seminare morte e distruzione in città.
Non a caso, sono edifici, automobili e, addirittura, la sopraelevata della metropolitana a subire ingenti danni da parte del grosso ominide definito “Ottava meraviglia del mondo”; prima che venga affrontato dall’aviazione quando si arrampica sulla cima dell’altissimo grattacielo Empire State Building (a bordo di un vecchio biplano sparante si possono riconoscere Cooper e Schoedsack in una fugace apparizione), ma solo in seguito alla serie di scontri con diverse creature preistoriche consumati sull’isola.
Al servizio di un vero e proprio capolavoro della Settima arte – nonché precursore di tutti i blockbuster a base di mostri di grosse dimensioni – che, messo in piedi, a quanto pare, dopo che Cooper visionò Creation, filmato realizzato da O’Brien per il concepimento di una sorta di rifacimento del muto The lost world di Harry O. Hoyt, rappresenta, in fin dei conti, una spettacolare, affascinante variante del mito della bella e la bestia.
Qui impreziosita da un secondo disco che, oltre al trailer, un’intervista alla Wray effettuata nel 1999 dal giornalista e produttore Vieri Razzini e R.F.D. 10000 B.C., ovvero uno dei primi esperimenti di celluloide in stop motion (nove minuti), offre proprio Creation e il film di Hoyt.
Francesco Lomuscio