All’inizio di gennaio la ICC, Corte Penale Internazionale, con la consueta indulgenza verso la Libia, si limitò ad una blanda richiesta di spiegazioni link delle voci ricorrenti circa un imminente avvio del processo (che la Libia non è ufficialmente autorizzata a fare, meno che mai senza l’ausilio della Corte stessa) a SAIF GHEDDAFI (da oltre un anno in detenzione “privata” presso la tribù Zentan link agli articoli) e all’ex-capo dei Servizi Segreti ABDULLHAH AL SENUSSI (link estradato dalla Mauritania attraverso una “compravendita” del valore di 200 milioni di $, link ).
Il 15 gennaio nel breve volgere di 17 ore le autorità della Libia hanno dato per certo e poi smentito l’inizio del processo.
La comunicazione libica non è delle migliori, si sa, ma questa volta potrebbe esser intervenuto anche un equivoco poiché, si scopre ora, sul figlio di Gheddafi esistono due processi pendenti.
Il 17 gennaio in You Tube compare un video che mostra Saif in un’aula di tribunale, il 18 l’autorevole BBC tratta la questione nel modo più superficiale, dando per scontato che si tratti del tanto atteso processo, debolmente contestato dalla Corte Penale Internazionale.
In realtà il giorno stesso, 17 gennaio, il DailyMail e in lingua italiana Ticino online avevano correttamente riportato la questione.
“ Il figlio dell’ex dittatore libico Colonnello Gheddafi è comparso in tribunale accusato di tentativo di fuga dalla prigione, pericoli per la sicurezza dello stato e vilipendio della bandiera nel nuovo regime”
E’ possibile che questo processo sia un’autonoma mossa della tribù, all’insaputa del Governo? Può il Governo aver accondisceso alla commedia per ragioni di politica interna? Può essere stato un concordato ulteriore sberleffo alla Corte Penale Internazionale?
I crimini contestati a Saif risalgono allo scorso giugno. Sostengono le autorità che durante una visita della delegazione della Corte Penale Internazionale, abbia cercato di passare segretamente dei documenti ponendo a grave rischio la “sicurezza dello stato”. Si ricorderà che in quella circostanza l’avvocato australiano Melinda Taylor della ICC venne fermata e tenuta in prigione per tre settimane con l’accusa di complicità nello scambio di documenti.
Che le basi per il procedimento fossero raffazzonate è confermato dal fatto che l’udienza è stata solo formale e aggiornata alla seconda fissata per il 2 maggio. Motivazione: “l’accusato non è rappresentato da un avvocato difensore”. Una carenza che corrisponde, perlomeno, ad una nullità del processo, ma che sembra non destare molta preoccupazione sul piano internazionale.
Non comprendo se sia per imbarazzo che la comunità degli stati della “Coalizione dei volonterosi”, di cui fu parte anche l’Italia, sorvoli sulla condizione attuale della Libia che, “liberata” da Gheddafi, è piombata in un cruento disordine.
E’ di oggi la scoperta di un’autobomba all’aeroporto di Bengasi, recenti l’attentato alla Chiesa Copta di Misurata, l’agguato al console italiano, per fortuna peggio organizzato di quello in cui hanno trovato la morte l’ambasciatore americano Chris Stevens e il personale della US Special Mission Benghazi ; persistenti gli scontri tribali e etnici, quotidiani i rapimenti; sulla zona sud del paese è stata imposta la legge marziale e Bani Walid ha subito un mese di assedio, costato vittime, profughi e distruzione, per catturare il sospettato dell’uccisione … dell’uccisore di Gheddafi. Niente altro che un’operazione di polizia, condotta, invece, con dispiegamento dell’esercito e della milizia di Misurata in cerca di una vendetta secolare (vedere Libia 2012: torna al 1920 )
O se la condiscendenza silenziosa dei governi occidentali significhi la conoscenza di una situazione ancora peggiore di quanto risulti dall’evidenza. Ma potrebbe anche trattarsi di uno standby in attesa dell’evoluzione nei paesi vicini, stante l’avvio di destabilizzazione dell’Algeria conseguente alle vicende, pilotate dalla Francia, nel Mali.
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