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"Il profeta di Zongo Street" di Mohammed Naseehu Ali

Creato il 21 maggio 2010 da Sulromanzo
Di Sara Gamberini
"Il profeta di Zongo Street" e il multiculturalismo
Come tutti a Zongo Street, mia madre credeva che raddoppiando o triplicando il dosaggio i farmaci agissero due o tre volte più velocemente.Quanta grazia in Zongo Street.
Mohammed Naseehu Ali è nato in Ghana e vive a New York. La sua raccolta di racconti somiglia ad un saggio multiculturale che taglia corto, però, su teorie e strategie sociali. Il messaggio è deciso: le persone stanno una accanto all'altra, non stanno fuse o confuse e non sono quindi mai da pensare una al posto dell'altra (se ci sei tu non ci sono io, se tu lavori mi togli, se cucini il tieboudienne la puzza del tuo cibo esotico coprirà il profumo delle mie lasagne al forno). L'integrazione, quella classica, cattolica, superficiale, non esiste. L'assenza di integrazione è invece un saggio movimento verso il riconoscimento dell'altro che semplicemente c'è. Tutti noi, ci dice l'autore, siamo l'altro. Il profeta di Zongo Street (66thand2nd, 2009, traduzione di Massimo Bocchiola, Leonardo G. Luccone, Sergio Claudio Perroni, Marco Rossari) racconta storie che somigliano a favole. Il suo stile, che è magico-simbolico ed insieme esistenziale, diviene un perfetto esempio di compresenza. Zongo Street è un immaginario quartiere di Kumasi, città del Ghana, il suo profeta è Kumi, il protagonista di un racconto, un uomo che ama gli ibiscus, è ossessionato dai libri di teologia e parla di Socrate, Nietzsche, Kant e Spinoza ai piccoli del borgo. Kumi impazzisce; va avanti e indietro per la strada urlando alla gente di come i negrieri cristiani abbiano ingannato gli africani insegnando loro che Gesù è figlio di Dio e che è un bianco. Non è un caso che Mohammed Naseehu Ali metta queste parole in bocca ad un folle. L'altro è qualcosa di più di un nemico. 
Zongo Street è ovunque, è il luogo dove gli immigrati, appena arrivati, trovano conforto e protezione da parte di persone che condividono con loro lo stesso stile di vita. Zongo Street c'è in ogni città del mondo. Capitare in uno di questi luoghi è una poesia. I racconti di Ali sono simbolici come la narrativa africana e al contempo, rapidi ed essenziali, ricalcano il tipico ritmo newyorchese; si muovono tra le strade di Kumasi e quelle di New York, profumano di tè e spezie e abitano certi loft di Brooklyn, addosso alle parole di queste storie c'è la polvere dei villaggi dell'Africa e il fumo denso del Liquid Lounge Club. Una badante ghanese, un tassista armeno, Mr. Rafique, il bambino più cattivo dell'universo, un giovane pittore, un musicista africano che vive a Manhattan sono solo alcuni dei protagonisti delle storie de Il profeta di Zongo Street. 
Tra tutti, meravigliosi i racconti Il vero ariano, Il reparto maledetto e La badante, in quest'ultimo Ali, attraverso le parole di Shatu, ci mostra il sud del mondo. 
Sebbene fosse sconfortata per la maggior parte delle cose che quel lavoro le richiedeva di fare [...] Shatu trovava crudele che quella donna, così anziana, non avesse nessun parente che si prendesse cura di lei. Lo stato in cui versava l'anziana fece sì che Shatu ripensasse alla nonna che pur essendo molto vecchia viveva in condizioni invidiabili rispetto a Marge. 
Nessuna retorica, sfatati i cliché dell'immigrazione, con un gesto consapevole e leggero Mohammed Naseehu Ali toglie al dualismo culturale, filosofico e religioso imperante ogni sorta di contrapposizione e ci mostra come a Brooklyn ci sia un po' di Africa, come negli immigrati si annidi l'orgoglio di patria, come il mito del potere sia molto presente a Kumasi, città che spesso immaginiamo profumata di tè e incantata dalle favole di nonna Uwargida e di come tuttora a New York i tassisti non si fermino quasi mai per un nero
Da leggere nelle scuole, quelle della Padania prima di tutto, da regalare ai vicini, da consigliare ad amici e nemici: la strada dell'intercultura passa da Zongo Street. Nel racconto Mallam Sile l'autore, riportando un pensiero di Max Frisch, ci conduce silenzioso alla propria conclusione: Niente è più duro che accettare se stessi. E in realtà solo gli ingenui ci riescono, e nel mondo che ho conosciuto finora pochissime persone si potrebbero definire ingenue in senso buono. 

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