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Il promontorio della luna crescente

Da Ultimafila22

di Giacomo Pagone

Non fosse stato per quel corpo senza vita penzolante dall’unico albero cresciuto in quella punta di terra affacciata sul mare, il Promontorio della Luna Crescente sarebbe stato un soggetto perfetto per un pittore.

Tuttavia, come dicevo poc’anzi, un corpo vestito di stracci dondolava mosso da un leggero alito del vento che nasceva sulla terraferma per fuggire, poi, nei meandri del mare aperto. Non era un corpo qualunque. Non si trattava di suicidio, né, tantomeno, di un mero assassinio. Il corpo in questione, infatti, apparteneva a J. J. Donville, ufficiale della marina, prima, corsaro, dopo, e, infine, pirata e terrore delle navi della baia.

Il governatore del piccolo borgo che dalla piccola baia del porticciolo, si arroccava fino alla cima della collina, aveva deciso di impiccare il corpo di quel demonio proprio su quell’albero, in modo che fosse ben visibile a tutti gli altri pirati che avessero avuto la malaugurata idea di depredare le navi della zona.

Da tre giorni, dunque, J. J. Donville si godeva le albe e i tramonti dal suo ultimo posto di vedetta. La collina su cui sorgeva la piccola cittadina di Moonville, infatti, si consumava dolcemente fino al Promontorio della Luna Crescente. Qui non c’era nulla, a parte l’albero usato come forca, la collina interrompeva la sua discesa verso mare, e le pareti che cadevano ripide nelle onde marine sconsigliavano a chiunque di avvicinarsi. La vista, però, era unica. A destra, come a manca, non v’era altro che il mare infinito, in cui il sole nasceva al mattino e moriva di sera.

Il buon governatore di Moonville aveva, da un po’ di tempo, a che fare con la piaga della pirateria: non c’era nave trasportante ori o tessuti preziosi che riuscisse a salvarsi dalla fame di razzia di quei maledetti bucanieri. A nulla era servito lo schierare le navi della marina o il cannoneggiare verso le navi battenti la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Le navi, infatti, partivano cariche per tornare, poco tempo dopo, vuote e con l’equipaggio dimezzato. Con l’arresto e l’uccisione del temuto J. J. Donville, però, il governatore aveva segnato un colpo di grande portata, avendo messo fuori causa uno dei due “Terrori della costa”.

A questo proposito, probabilmente, c’è da fare un piccolo chiarimento, per permettere al lettore di capire perché, nonostante restasse in vita ancora uno dei due “Terrori della costa”, il governatore dormisse, comunque, sogni tranquilli.

Come detto, J. J. Donville si era dapprima arruolato in Marina, quindi, sempre al servizio della Marina aveva solcato i mari per depredare le navi battenti bandiera nemica come corsaro, quindi, abbandonata la strada della legalità, aveva deciso di mettere il suo ingegno al servizio di sé stesso. Era un uomo esperto, nelle sue vene scorrevano più acqua salata e rum che sangue. Era nato in mare e, se non fosse stato per il governatore, in mare sarebbe morto.

C’era, poi, un altro personaggio, anch’egli pirata, che usava razziare i tesori delle navi di Moonville. Questi, tuttavia, non aveva la nomea di essere privo di scrupoli, al pari dei suoi sanguinari colleghi. Al contrario, egli era una persona squisita, stando ai racconti delle vittime dei suoi arrembaggi, conoscitore esemplare delle più raffinate regole del galateo. Aveva un solo, piccolo difetto: era completamente, e irreversibilmente, pazzo.

Non del tipo di pazzi che si intende al giorno d’oggi, ovviamente. Non gli mancava il senno, né, tantomeno, la lucidità nelle proprie azioni. No, la sua pazzia era qualcosa di più particolare. Chi scrive non ha di certo le conoscenze mediche né della psiche umana, per poter definire la patologia di tale individuo, motivo per cui, l’unico tentativo di far luce su questo singolare personaggio passa, necessariamente, per il racconto delle sue gesta.

Lord Mordecai Morton, meglio conosciuto come Mordecai Il Pazzo, era figlio della nobiltà della zona. Da piccolo aveva frequentato, con i genitori, i duchi di Morton, i migliori salotti del regno, si era svegliato ogni mattina con l’odore del cioccolato caldo nelle narici ed era stato servito e riverito in ogni suo piccolo capriccio. Fu così che il giovane Mordecai prese lezioni di violino, pianoforte, letteratura, scherma, galateo ed ogni altra materia necessaria alla crescita di un rampollo di una qualunque famiglia nobile del tempo. Tuttavia, tra una lezione di violino e un tiro di scherma, il ragazzo conobbe presto la noia e una sensazione di vuoto in fondo all’anima. Erano sempre più frequenti le volte in cui si sottraeva alle noiose lezioni di letteratura per spingersi fin sul promontorio per scrutare il mare. Un dì, senza dire niente a nessuno, Lord Mordecai Morton abbandonò la propria abitazione e scese fino al porto. Qui si imbarco su una piccola nave, con la speranza di girare il mondo. Nessuno sa come ci sia riuscito, tuttavia, quando una decina d’anni dopo ritornò nella piccola baia di Moonville, lo fece da capitano di una nave battente la bandiera dei pirati.

Mordecai Il Pazzo, e mai soprannome fu più azzeccato!, vestiva sempre all’ultima moda. Si dice che avesse a bordo un suo sarto personale, il quale, ad ogni porto in cui attraccavano con una falsa bandiera di qualche stato, aveva il compito di girare tutti gli atelier della città per carpire i segreti dell’ultime tendenze in fatto di moda. Mordecai, inoltre, non trascurava la propria persona, evitando le barbe incolte sfoggiate dall’equipaggio, prediligendo due sottili e curati baffetti neri che si addicevano ai lucenti capelli ricci di egual colore.

Ora, chiunque abbia mai letto qualcosa riguardo al mondo dei filibustieri, ben saprà che lo stereotipo del capitano pirata lo voglia privo di una gamba, sostituita da una protesi di legno, con un uncino al posto di una mano e con il fedele pappagallo appollaiato sulla spalla. Ebbene, a Mordecai Il Pazzo non mancava alcun arto, né un solo altro centimetro di pelle con cui si era avventurato per mare anni prima. Tuttavia, egli si considerava un tipo notturno, poco avvezzo a combattere alla luce del giorno, motivo per cui al posto del classico pappagallo, Mordecai aveva addomesticato un gufo, perché gli stesse accanto nelle sue ore di veglia.

Non era, il povero rapace, l’unico animale a bordo de La Civetta, questo era il nome della nave di Mordecai. Il nostro capitano, infatti, possedeva anche uno splendido esemplare di cavallo, nero lucente, con cui faceva avanti e indietro sul ponte della nave. A cosa gli servisse un cavallo su una nave, nessuno mai fu in grado di spiegarlo. Si sa solo che, prima degli arrembaggi, il capitano in persona dava il via all’attacco, con la spada sguainata, in sella al proprio destriero rampante.

Il governatore, perciò, aveva archiviato il caso di Mordecai come nulla di più serio di una burla, poiché il singolare capitano non aveva mai torto un capello ad un solo membro degli equipaggi delle navi depredate, né rubato qualcosa di veramente prezioso sino a quel momento, esclusion fatta per delle ottime sete provenienti dalla Cina.

Quando su La Civetta, ancorata nel porto di Moonville, battente bandiera britannica, giunse la voce che vedeva il capitano incapace di destare i timori del governatore, dopo l’uccisione di J. J. Donville, Mordecai Il Pazzo andò su tutte le furie. Dapprima ordinò di aprire il fuoco verso il quartier generale della Marina, successivamente pensò di rapire il governatore, quindi, meditò sull’appiccare il fuoco presso la casa dello stesso governatore. Tornato in sé, infine, ordinò di salpare per far rotta verso una piccola baia poco distante dal Promontorio della Luna Crescente.

Mentre meditava circa il da farsi, con il fedele gufo che svolazzava nella sua cabina, Mordecai Il Pazzo fu interrotto nei suoi pensieri da un membro dell’equipaggio. Si trattava di un ragazzino di massimo quattordici anni, dai capelli rossi e le lentiggini sul viso. Aveva i piedi scalzi, come la maggior parte degli altri pirati, e i muscoli delle braccia e della gambe ben formati. Questo particolare suggerì al capitano Mordecai di avere di fronte una delle vedette che si arrampicavano in cima all’albero maestro per scorgere l’orizzonte. Il ragazzo parlò e disse di aver sentito, in paese, che da lì a due giorni sarebbe arrivata, nella baia di Moonville, una nave con le paghe della Marina e piena dell’oro del giacimento privato, del governatore, nel Nuovo Mondo. La notizia era certa, in quanto il piccolo pirata l’aveva appresa, per caso, dal vice governatore in persona, il quale l’aveva usata come pretesto per avvicinare una ragazza dell’alta nobiltà, all’uscita della chiesa.

Mordecai rimase un momento in silenzio, rimuginando su quelle parole, quindi, sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi, strinse la mano al ragazzo, dandogli sonore pacche sulla spalla e offrendogli da bere. Era tutto deciso, allora. L’indomani avrebbero atteso in quella piccola baia, lucidando cannoni e pistole, quindi, la notte successiva avrebbero agito.

E così fu. Mentre il sole affondava nell’orizzonte, colorando il cielo con tinte che sfumavano dal rosso all’arancione e al rosa, per perdersi, poi, nel blu del cielo notturno, La Civetta lasciò la baia, puntando verso il Promontorio della Luna Crescente. Una volta giunti alle pendici della collina che ospitava la sonnecchiante cittadina di Moonville, Mordecai diede ordine di attendere lì la nave.

In un altro momento il governatore avrebbe dato ordine che la nave arrivasse di giorno, scortata, all’ingresso della baia, da almeno tre navi della Marina. Tuttavia, con J. J. Donville fuori dai giochi, la cupidigia del governatore fu tale da voler pesare il suo oro prima che facesse giorno.

Mordecai, in sella al suo destriero, accarezzando il gufo seraficamente appollaiato sulla sella, diede ordine ai suoi uomini di stare all’erta e di raddoppiare la razione di rum prima dell’arrembaggio. D’un tratto si sentì una voce provenire dalla cima dell’albero maestro. Era il ragazzo che due giorni prima aveva dato la notizia al capitano, che adesso urlava di aver avvistato la nave.

Mordecai Il Pazzo si rivolse ai suoi uomini e parlò loro dimenticando le buone maniere che gli erano state insegnate quand’era piccolo. Spiegò il piano una sola volta: avrebbero tagliato la strada, a luci spente, all’altra nave, in modo che questa, presa di sorpresa, avrebbe dovuto impiegare più tempo per le manovre per prepararsi allo scontro. Ci sarebbero state due scariche di fuoco iniziali. Poi una pausa. Nel caso la nave avesse tentato di replicare al fuoco, ci sarebbero state altre tre scariche, di cui una diretta agli alberi ed una al timone, di modo che non avrebbe potuto tentare la fuga. Era tutto deciso.

La Civetta si mosse leggera sull’acqua scura del mare. La notte era priva di luna, per cui l’altra nave scorse La Civetta appena in tempo per non finirci addosso. Come previsto i preparativi per lo scontro richiesero un bel po’ di tempo, e le due scariche del capitano Mordecai colpirono il ponte della nave nemica. Quando la nave si allineò parallelamente a La Civetta, fu quest’ultima ad aprire il fuoco per prima, abbattendo l’albero maestro. In preda al panico, l’equipaggio della nave nemica non tentò di controbattere, ammainò la propria bandiera e ne issò una bianca. Si arrendevano. Tutto era stato molto più semplice di quantoMordecai si aspettasse. Le prime cannonate de La Civetta, infatti, avevano sicuramente destato gli allarmi di Moonville, tuttavia ci sarebbe voluto troppo tempo per armare la navi della Marina e raggiungere l’equipaggio di Mordecai Il Pazzo. E per quell’ora la nave sarebbe già stata saccheggiata.

L’arrembaggio fu, come immaginato, privo di pericolo. L’equipaggio dell’altra nave era insufficiente a reggere il confronto con i pirati di Mordecai, e, di sicuro, nessuno di loro voleva morire per salvare l’oro del governatore. Giunto sul ponte, Mordecai Il Pazzo chiese di poter parlare con il comandante della nave. Quando l’ebbe dinanzi, gli chiese dove tenesse l’oro del governatore. Gli disse, inoltre, di non essere interessato alle paghe della Marina. Il trasbordo delle casse di oro fu difficoltoso, ma terminò nel momento in cui le navi della Marina lasciavano il porto di Moonville. Dalla cittadina qualcuno aveva provato a far fuoco, ma le palle di cannone avevano finito la loro folle parabola in mare, con un sonoro “ploff!”.

Quando l’indomani mattina a Moonville si sparse la voce dell’impresa di Mordecai Il pazzo, tutti ammirarono quell’intrepido filibustiere che non aveva voluto privare i padri di famiglia delle loro paghe mensili, ma che, allo stesso tempo, si era impossessato dell’oro del nemico, come risarcimento per lo scherno e l’arroganza del governatore.

L’eco di quanto accadde in quei giorni risuona ancora oggi per i mari vicini e lontani al Promontorio della Luna Crescente. Qualcuno, poi, forse troppo preso dalle storie raccontate, giura anche di aver visto una nave tagliare l’orizzonte. Sul ponte di comando, c’è chi dice di aver visto un uomo in groppa ad un cavallo rampante, ed un gufo che vola intorno a questo strano personaggio.

Che sia leggenda o verità, ora, una volta posata la penna accanto al calamaio, mi incamminerò anch’io verso il Promontorio della Luna Crescente, per ammirare le prime luci del giorno e per scrutare l’orizzonte in cerca della nave di Mordecai Il Pazzo.

 


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