Salutata con un sospiro di mal trattenuta invidia Clementina che rimane fuori, sotto il cielo della vita pulsante, con quel saluto pregno della consapevolezza tragica che soltanto le inevitabili, coraggiose separazioni che orasodisalutartimanonsoseequandotirivedrò possiedono, immediata, immutabile, immancabile e viscerale, arriva l'angosciante consapevolezza che quel posto a me trasmetterà sempre un misto di soggiogante e palloso disagio d'estraneo culto esistenziale.
Ogni tanto ci finisco, curiosando tra le mostre, alla ricerca di un minimo di autodefinizione per contrapposizione all'estraneità, scolpendomi un poco nel materiale del mancante o dell'estraniante, un poco ritrovando me stesso in quel che di me recalcitra, rivelandomi.
Ma si parlava di cessi, perché è là che, puntualmente, ripiego in ritirata quando la pressione delle linee astrattamente nemiche si fa insostenibile e, con la scusa apparente di un vil richiamo diuretico, maschero ben più vile urgenza di sottrarmi per un poco dal campo di battaglia di esposizioni nelle quali, a volte, l'estintore è l'opera meglio compiuta nel suo rassicurante rosso pompieriano. Son solito trovare requie allo spirito nel cesso al primo piano, mentre sospiro e tiro il fiato cercando nel mentre di centellinare e prolungare lo zampillar della liquida clessidra, tutto intento a procrastinare il dovermi rimischiare alla pugna con la parte artisticamente masochista che è in me, frammisto a fauna umana d'estraneità ostica e astrattosferica, prima ancora che esoticamente esoterica.
L'ultima volta, però, mi sono avventurato fin nei meandri cessosi del piano interrato. E lì, mentre a occhi socchiusi iniziavo a urinare il bilancio di una vita trascorsa, ho capito cosa può provare un antropologo allorché si trova finalmente davanti segni di sapide vestigia, seppur tracciate con graffio rupestre, dentro la buia grotta di bianco marmo, freddo mausoleo della civiltà dei caldi sensi che furono.
Di fronte a noi, sulla parete intonacata sopra la tazza, la penna blu di ramingo writer eremita aveva lasciato testimonianza del proprio passaggio.
Hei tu ragazzo che pisciricordati che hai in mano il tuo avvenire
Un poco mi ha preso lo sconforto, perché le verità fanno spesso male.Ero affranto, ma lui mi ha saputo rincuorare. Mi ha distratto dai miei pensieri repentinamente avviliti e malinconici, richiamando curiosamente la mia attenzione con quel pssss psssss che un par suo è solito ricevere anziché elargire.L'ho badato distrattamente, sconsolato.E lui mi fa: "Guarda il lato positivo, ragazzo. Significa che non ci lasceremo mai, staremo sempre insieme, tutta la vita a farci compagnia. È bello, sai."L'ho fissato, gli ho sorriso e, dopo una carezza, l'ho riaccoccolato nel nido.Il mio cazzo, in fondo, è un'anima bella.
K.
ps: per chi volesse ammirare il ritrovamento letterario: bagni maschili nell'atrio del Palazzo della Triennale, scendere le scale, tre cessi con porta, quello centrale.