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Il Pugliese Nicola Lagioia trionfa nella 69^ edizione del premio Strega

Creato il 04 luglio 2015 da Federbernardini53 @FedeBernardini

PremioStrega2015_NicolaLaGioia

Anche la 69^ edizione del Premio Strega è stata archiviata, con la vittoria del Pugliese Nicola Lagioia.
Il nuovo regolamento del premio, una semplice manovra di facciata a favore delle case editrici medio-piccole, non ha impedito la 36^ vittoria di un autore del gruppo Mondadori, Lagioia pubblica con Einaudi.
Un caso, secondo quella vecchia cariatide di Tullio De Mauro, che nel corso della serata ha lanciato i suoi strali contro quel guastafeste di Saviano, reo di aver protestato contro il quasi monopolio di Mondadori. Giudicando in base ai fatti e non alle parole di uno dei più autorevoli rappresentanti dell’establishment politico-culturale italiano, non ci sarà difficile stabilire chi dei due abbia ragione.
Una serata un po’ sbracata, pareva che tutti, dalla presentatrice al presidente della giuria, avessero una gran fretta di sbrigare velocemente una sporca faccenda, fra un siparietto comico e l’altro… anche lo stile dello Strega, che ormai meriterebbe come più degna cornice gli Studios Mediaset e non il ninfeo di Villa Giulia, si uniforma alla volgarità dei tempi.
Alcuni anni fa dedicai all’argomento alcune riflessioni, sulle pagine del “Ribelle” di Massimo Fini, e oggi posso riproporle tali e quali, perché nulla è cambiato.

“Il primo sorso incanta… il secondo Strega”

In un recente articolo, riferendosi al Premio Strega, così scrive Marco Lodoli: “Un riconoscimento per cui editori e scrittori si venderebbero la madre”. Una vexata quaestio che si ripropone puntualmente ogni anno, in corrispondenza con l’assegnazione dei principali premi letterari, che rappresentano, per ogni scrittore, un punto d’arrivo.
Ma proviamo ad analizzare la questione partendo dal principio. Quando uno scrive un libro lo fa essenzialmente per se stesso, si tratta quasi sempre di un’autoanalisi ma, arrivati alla fatidica parola Fine, subentrano altri stimoli: la vanità e la sete di guadagno. Come soddisfarle? Pubblicando, ovviamente, e qui cominciano i veri problemi.
Se sei un esordiente, un illustre sconosciuto o uno che non ha santi in Paradiso, puoi risolvere il problema in due modi: andando da un qualunque tipografo per stampare il libro a tue spese o rivolgendoti a una delle tante “case editrici” che pubblicano qualunque cosa, sempre a tue spese, ma garantendoti tutti i servizi editoriali della loro premiata ditta.
Sia nel primo che nel secondo caso il risultato sarà esattamente lo stesso, perché l’incauto autore si renderà immediatamente conto che i servizi della premiata ditta non gli garantiranno né critiche blasonate, né passaggi televisivi, né una rete di distribuzione, indispensabili se si vuole avere visibilità e la speranza di vendere.
Succede allora che ti troverai la casa trasformata in una sorta di magazzino e dovrai smaltire i tuoi libri o regalandoli agli amici o cercando di venderli porta a porta, come un aspirapolvere. Meglio lasciar perdere.
Occorre battere altre strade: il tuo libro è un capolavoro, bisogna presentarlo agli addetti ai lavori, che non aspettano altro. Allora cominci a fare quintali di fotocopie, bei fascicoli rilegati, che spedisci con una bella lettera di accompagnamento ad uno, dieci, cento editori.
La maggior parte ti lascerà perdere, qualcuno ti restituirà il fascicolo intonso senza dirti né a e né ba e qualcun altro te lo restituirà con una gentile missiva, il cui originale risale ai tempi di Omero, dove si dice: “Illustre Autore, abbiamo preso visione della Sua Opera ma, pur ritenendola di alto valore letterario, non siamo in grado, per ragioni di pianificazione aziendale, di inserirla in alcuna delle nostre collane prima del 2099. Ci contatti in seguito. Cordiali saluti”.
Certamente di buon augurio ma, a questo punto, rimangono solo due soluzioni: rassegnarci e passare al giardinaggio o immedesimarci nel colonnello marqueziano… quello cui nessuno scrive, coltivando sino alla morte la nostra illusione.
Ci vuol altro: le case editrici ti prendono in considerazione , anzi ti cercano solo se sei già noto e puoi garantire buone vendite o se hai qualcuno che ti spinge, indipendentemente dal tuo valore.
Diventato SCRITTORE ecco che si spalanca davanti a te il mondo dorato dei premi. Più è potente e mafioso il tuo editore, più sarà capace di blandire, minacciare, contrattare, più alte saranno le tue quotazioni e più probabilità avrai di vincere, di pavoneggiarti nel bel mondo e nel demi-monde che gremisce i saloni o i sontuosi giardini dove si celebrano i trionfi letterari e, naturalmente, farai anche un sacco di soldi, alla faccia di chi conserva un vero capolavoro nel cassetto.
Morale della favola: il libro è un prodotto commerciale come qualunque altro e, in fondo, non c’è neanche da scandalizzarsi più di tanto di certi costumi. L’importante è sapere che tutto ciò non c’entra nulla né con la letteratura né con l’arte.
Nei panni di quell’anima bella di Lodoli, poi, allargherei un po’ l’orizzonte e scoprirei casi ancor meno edificanti, come quello, tanto per fare un esempio, del Grinzane Cavour.

Federico Bernardini

Illustrazione tratta da Google Immagini


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