Adagiato su una lingua di terra che sfocia in pieno Golfo Persico, il Qatar è uno Stato dalle dimensioni alquanto ridotte che ospita una popolazione di un milione e settecento mila persone, di cui duecentomila cittadini nativi, mentre la restante parte di lavoratori ospiti. La sua ristretta dimensione geografica, tuttavia, non ha certamente impedito all’emirato di ritagliarsi un suo ruolo sia sullo scacchiere mediorientale sia su quello internazionale. Infatti, pur non essendo un protagonista reale né, tantomeno, una potenza regionale, il piccolo Stato è riuscito ad ottenere la fama di attore mediorientale.
I fattori che hanno accompagnato questo risultato sono differenti e certamente non vanno ricondotti esclusivamente alle ingenti ricchezze di idrocarburi presenti nel sottosuolo qatariota. Infatti, se ad essi è ascrivibile una rilevanza fondamentale per quel che concerne l’economia del paese (essendo il Qatar il quarto esportatore al mondo di gas naturale e il diciottesimo di petrolio) tuttavia, sul piano diplomatico, altrettanto importante è stata l’arte messa in campo da Hamad bin Khalifa Al Thani che, grazie alle sue doti e al supporto protettivo statunitense, è riuscito a portar fuori lo Stato dal suo isolazionismo, garantendogli discreti margini di manovra.
Mai prima di adesso, infatti, il Qatar aveva goduto di tanto prestigio sullo scenario internazionale; ciò non solo per le sue ridotte dimensioni geografiche ma anche per la sua giovane storia che, passando per la dominazione persiana, è rimasta intrecciata a quella del Bahrayn (poichè lungo il XIX secolo la famiglia Al Khalifa controllava di fatto quella zona). L’espansionismo bahranita, però, turbava la Gran Bretagna, che nel 1878, con l’appoggio di alcuni esponenti della famiglia Al Thani (attuali reggenti del Qatar ai quali appartiene il 40% della popolazione autoctona), interveniva separando il Qatar dal suo vicino, per poi annetterlo come protettorato britannico nel 1916. Fu nel 1940, con la scoperta dei giacimenti di petrolio, che la famiglia Al Thani intravide l’opportunità di plasmare le autoctone tribù e i pescatori di perle in popolazione di un piccolo stato ricco.
Il 3 settembre del 1971 Khalifa bin Hamad Al Thani proclamava il Qatar stato indipendente, adottando in seguito una Costituzione che strutturava organi rappresentativi e di governo. Tuttavia, la vera svolta del Qatar si è avuta nel 1995, quando Sheikh Hamad rovesciò suo padre in un colpo di stato non cruento, ma significativo. Da allora il Paese iniziò ad assumere un altro aspetto che lo faceva apparire, sia all’interno della regione che al di là dei suoi confini, non più un piccolo fazzoletto desertico e roccioso, bensì una potenziale potenza in espansione.
La forza del Qatar nella diversificazione economica
Sotto il nuovo governante il paese ha conosciuto una fase di importanti riforme, tra le quali l’adozione di una nuova carta costituzionale avvenuta nell’agosto del 2003. Fondamentale è stata, inoltre, la messa in atto di una diversificazione economica che, evitando di inciampare nel tranello dell’economia degli idrocarburi, ha sfruttato i proventi dagli stessi ricavati reinvestendoli in modo alternativo. Ciò ha permesso la realizzazione di giganteschi progetti di infrastrutture all’interno del paese, nonché l’acquisto di ingenti patrimoni esteri (Harrods a Londra, la squadra di calcio francese Paris Saint-Germain e la sponsorizzazione della Qatar Foundation della squadra del Barcellona, solo per citarne alcuni). Negli ultimi anni tale processo di diversificazione industriale ha fatto letteralmente esplodere il Pil del paese con la conseguenza di attirare tutte le più globalizzate iniziative economiche “occidentali”, ivi compresi i mondiali di calcio del 2022.
I vasti tassi di crescita economica hanno, peraltro, fatto fronte all’attuale crisi finanziaria che ha drasticamente colpito i più ricchi paesi del Golfo, conferendo al piccolo Stato il ruolo di “gigante della finanza”. Nel 2005 è stato istituito il Qatar Investment Authority (QIA), un fondo sovrano che rappresenta un prestigioso strumento economico di investimento delle ricchezze e che ha come obiettivo la diversificazione dell’economia del paese. La rilevanza di tale istituto la si coglie nel fatto che, sebbene dall’inizio della crisi abbia accumulato il 20% delle perdite, ha comunque mantenuto sempre un alto profilo di investimento nei più importanti e sensibili settori economici – quali il real estate, il finanziario e del lusso – ponendosi come espediente di leva finanziaria sia in Occidente sia in Oriente. Dapprima osteggiato, poi osannato come garante delle imprese europee e statunitensi in crisi, QIA rimane dunque uno strumento di investimento sovrano tra i più ambigui del Golfo, caratteristica che ha fatto meditare gli analisti circa la possibilità che dietro il progetto economico si celino obiettivi politici. In concomitanza della crisi economica del 2008, il Qatar ha gradualmente acquisito il ruolo di creditore di ultima istanza della finanza occidentale. Le “vittime” della longa manus della QIA sono illustri: Barclays, Porsche, Harrods, Miramax, Banco Santander. In Italia ha acquistato Valentino, una quota importante del rigassificatore Edison di Rovigo, Grand Hotel Baglion di Firenze, l’Hotel Gallia di Milano e la proprietà di numerosi immobili in via Veneto a Roma. Peculiarità del QIA è di essere, a livello decisionale, fortemente centralizzata attorno alla famiglia Al-Thani, una concentrazione di potere che ha garantito al paese un notevole attivismo in equilibrio fra la diplomazia e la finanza internazionale.
Il Qatar nelle relazioni internazionali
L’ascesa di Sheikh Hamad, tutt’oggi al potere, ha inaugurato un nuovo corso di relazioni internazionali, conferendo al piccolo regno una maggiore dinamicità. Il principale obbiettivo di questa nuova era è stato quello di intessere proficue e pacifiche relazioni con tutti, ed in particolare con i vicini, invertendo la tendenza passata che l’aveva visto dal 1991 al 1993 impegnato in dispute territoriali con l’Arabia Saudita, successivamente a sostegno dell’Iraq nella sanguinosa guerra contro l’Iran, e poi in opposizione allo stesso Iraq durante l’invasione del Kuwait.
In realtà, però, il nuovo principio di neutralità, impresso nella stessa costituzione all’articolo 7, viene enfatizzato per garantire allo Stato un più ampio margine di manovra nel contesto regionale, al cui interno si trova compresso fra le due grandi potenze dell’Arabia Saudita e dell’Iran. Di quest’ultimo, pur condividendo il giacimento di gas South Pars e intrattenendo rapporti diplomatici (il Qatar ha sostenuto il diritto di Tehran a proseguire un programma di nuclearizzazione civile, criticando le sanzioni adottate dall’ONU a scopo deterrente), ne teme fortemente la supremazia sotto il profilo energetico. Dunque, i grossi limiti strutturali e le ridotte estensioni territoriali, demografiche e di apparato difensivo, hanno indotto il suo Emiro a puntare sulla diplomazia, sulla ricchezza e sulla comunicazione; quest’ultima realizzata mediante Al Jazeera, innovativo canale di diffusione mediatica che ha rappresentato, e tutt’ora rappresenta, uno strumento rivoluzionario capace di diffondere nell’opinione pubblica internazionale e locale l’immagine di uno Stato religiosamente tradizionale ed economicamente liberale. Inoltre, nel corso degli anni si è dimostrato anche un efficace strumento di politica estera capace di influenzare l’opinione pubblica globale.
L’abilità diplomatica dell’Emiro qatariota si è mostrata sin dall’inizio, allorquando nel 1996 coglieva l’occasione per rinsaldare l’amicizia con gli Stati Uniti e assicurarsi la loro protezione, approfittando della protesta sociale in Arabia Saudita che invocava la dismissione militare americana. A riprova di tale “alleanza” nel 2002 si edificava in Qatar l’Al-Udeid (la più grande base militare americana presente nella regione da cui vengono sorvegliate oltre 27 nazioni – dal Corno d’Africa fino all’Asia Centrale) che ha giocato un ruolo geopolitico di primaria importanza in occasione delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan, fungendo da portaerei statunitense e rendendo il territorio del Qatar centro di comando delle operazioni belliche nell’area e sede avanzata del CENTCOM – US Central Command e dello Air Component Command.
Sempre sul piano diplomatico, nel biennio ’96-’97 il Qatar si spingeva oltre le “colonne d’Ercole” della diplomazia araba, intessendo relazioni commerciali con Israele. Con una mossa senza precedenti, stabiliva un proprio ufficio commerciale nello Stato ebraico che lo stesso anno reciprocava aprendo la propria sede commerciale nella capitale qatariota. Nonostante l’assenza di relazioni diplomatiche regolari, il Qatar ha potuto stabilire ottimi rapporti economici con Israele ospitando delegazioni del governo israeliano a Doha.
Negli anni successivi la diplomazia qatariota ha giocato un ruolo da mediatore nei differenti conflitti che hanno insanguinato il mondo arabo nel secondo decennio del XXI secolo. L’attivismo si è distinto nel 2006 in Palestina, durante la mediazione tra Hamas e Fatah; nel 2007 in Yemen, favorendo il dialogo tra governo e movimento sciita degli Houthi; nel 2008 in Libano nei colloqui tra governo ed Hezbollah; nel 2010 in Sudan nella fase finale della guerra del Darfur. Successivamente, si è impegnato per una riconciliazione tra talebani, Stati Uniti e governo afghano, rendendosi disponibile ad ospitare un ufficio politico dei talebani a Doha.
Orbene, nonostante l’asserita neutralità, la sua azione di mediazione (che nella maggior parte dei casi si è conclusa con un nulla di fatto, fatta eccezione per gli accordi di Doha per la soluzione della crisi libanese), sembrerebbe essere esclusivamente volta a consentire al Paese di accreditarsi nei confronti dei vari Stati. La strategia, infatti, parrebbe finalizzata ad ampliare i suoi margini di manovra finanziaria e a costruire un corridoio di accesso privilegiato per il soddisfacimento degli interessi geopolitici statunitensi con i quali, peraltro, la politica qatariota è perfettamente allineata. Infatti, in una congiuntura storico-politica ed economica come quella attuale, che vede gli Usa “avanzare” nella crisi economica e “regredire” nell’area compresa tra il Vicino Oriente e l’Asia Meridionale, è evidente come l’equilibrismo qatariota consenta fattivamente a Washington di esercitare un’influenza senza farsi carico di un diretto intervento dai costi elevati. Il Qatar è stato, dunque, abile nel ritagliarsi un ruolo ben definito nella strategia statunitense di distribuzione degli sforzi a livello regionale, in ciò sfruttando il comune timore di un’ascesa egemonica dell’Iran che potrebbe avere ripercussioni soprattutto per Washington che considera ogni perturbazione all’approvvigionamento del petrolio una minaccia per la propria sicurezza energetica. Proprio questo stato di cose detta la necessità di un riposizionamento delle forze nell’area del Golfo Persico, da affiancare alla exit strategy irachena. Nei piani di Washington si profilerebbe, quindi, l’intenzione di espandere le relazioni militari e di sicurezza con le sei nazioni che compongono il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) – Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar – al fine di costituire una struttura militare integrata aero-navale e di difesa missilistica con i partner regionali. In tale progetto, che dovrebbe presumibilmente realizzarsi nei prossimi dieci anni, il Qatar avrebbe investito oltre cento miliardi di dollari.
A dimostrazione che la politica estera qatariota sia allineata con quella statunitense si pensi alle recenti “Primavere Arabe” nel corso delle quali il Qatar ha fatto da cassa di risonanza ai rivoltosi mediante la diffusione mediatica di Al Jazeera e costituito l’anello di congiunzione tra Stati Uniti e le realtà locali (utili, in tal senso, le amicizie intrattenute dall’Emiro nel corso degli anni con gli esponenti di spicco di numerosi gruppi tra cui Ennadha, Fratelli Musulmani e Lybian Islamic Fighters Group). Nel caso libico, ad esempio, è stato uno dei primi ad invocare un intervento militare, fornendo alla Lega Araba la spinta politica necessaria per sostenere l’operazione della NATO a cui, peraltro, ha preso ufficialmente parte impiegando sei aerei da combattimento e rifornendo i ribelli di armi leggere e aiuti economici. In Siria, come in Libia, si sta efficacemente attivando per rovesciare il governo in carica foraggiando economicamente i gruppi di opposizione, invocando a gran voce l’intervento armato e ospitando a Doha la riunione che ha dato vita al “Consiglio dell’Opposizione” messo in piedi con il sostegno degli Stati Uniti e dei loro alleati europei, delle monarchie del Golfo e della Turchia, con la finalità di radunare le varie componenti dell’opposizione per rendere la stessa più rappresentativa.
Anche a Gaza, presumibilmente, lo stesso copione. La visita di Al Thani lo scorso ottobre 2012 parrebbe, infatti, finalizzata a riabilitare Hamas agli occhi dell’Occidente attraverso la diplomazia economica, al fine di spingere l’organizzazione in un processo di ribilanciamento dei poteri nell’area del Medio Oriente. Nell’occasione, Al-Thani ha promesso aiuti per 400 milioni di dollari, da destinarsi principalmente all’edificazione di infrastrutture. La ragione di tale visita è strettamente collegata al contesto siriano, dove si sta combattendo una guerra per procura tra l’Iran, da una parte, e gli Stati sunniti e l’Occidente, dall’altra. L’obbiettivo del Qatar è di portare il movimento di Haniyeh e Meshal da questa seconda parte, impresa che appare ancora più ardua all’indomani della tregua tra Hamas e Israele.
In definitiva, quanto esposto impone un quesito: sarà in grado nel lungo periodo il Qatar, piccolo paese dai già evidenziati limiti strutturali, a mantenersi in equilibrio in un contesto internazionale così “caldo” e “dinamico” che potrebbe (e tale eventualità è tutt’altro che remota) stravolgere i giochi e ridisegnare l’attuale scenario geopolitico?