Sulla scia del mockumentary contemporaneo reindirizzata dal duo Myrick-Sánchez (ehi, però non bisogna dimenticarsi cos’è stato Cannibal Holocaust nell’80), un aitante regista americano di nome Olatunde Osunsanmi propone (propina, magari) la sua variazione sul tema utilizzando l’escamotage degli alieni.
L’aspetto più fastidioso, irritante quanto una bolla di varicella, è la pedante contrapposizione tra realtà e finzione. Purtroppo veniamo già messi in guardia dalla Jovovich ancora prima che il film inizi: “tutto quello state per vedere è basato su documenti reali”, e subito dopo l’attrice aggiunge una frase pessima, ma veramente pessima: “alla fine sarete voi a decidere se crederci o meno”. Ah beh Milla, su quello puoi starne certa, tuttavia nella visione di un “finto documentario” l’ultima cosa che vorrei vedere è il continuo evidenziare dell’elemento che dovrebbe convincermi: il reale.
Le terrificanti schermate frazionate che affiancano fiction e materiale “autentico”, oltre a sottovalutare le capacità cognitive dello spettatore – abbiamo capito quali sono le intenzione fin da subito, perché continuare stucchevolmente a ripetere? –, rappresentano il tentativo di caricare più del bisogno il concetto di realtà, tentando di convincere chi guarda della bontà delle immagini. È una narrazione sbilanciata, imparziale, che da buona tradizione americana si fa gridata, sbraitata, enfatizzata suscitando di conseguenza quell’incredulità che è l’effetto inverso che vorrebbe originare.
E non manca una certa superficialità nella trattazione della materia con la baggianata del sumero.
Poteva andare peggio solo se a Osunsanmi fosse venuta l’idea di mostrare i presunti alieni in tutta la loro bellezza, almeno questo ce l’ha risparmiato.
È un peccato perché a parer mio l’argomento extraterrestri ha enormi potenzialità nel campo del fantastico e non. Ahimè non ho ancora visto un film che getti uno sguardo interessato (e NON interessante, capisco di chiedere troppo) sulle abductions, bisogna accontentarsi di produzioni che vivono più sul marketing che sui loro contenuti. Di cui non v’è traccia.
E comunque un vero alieno ne Il quarto tipo c’è. Non sono i gufi, o g-ufi per meglio dire, bensì la dottoressa Abigayl Tyler, discendente diretta degli e.t. di Communion (1989), garantito.