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Il quotidiano

Da Nubifragi82 @nubifragi

“Che poi io un’idea l’avrei.” Poulidor sporse il corpo verso il centro del tavolino facendo leva sui gomiti “Te lo ricordi mio cugino Mottet? Quello che un paio d’anni fa portasti a casa alla festa di S. Michele perché era ubriaco come un asino?”
“Si” rispose Bottecchia “e ricordo pure che mi ha vomitato sulla portiera e il vomito si è infilato nella fessura del finestrino e ancora adesso ogni volta che alzo il finestrino strane strisce si compongono sul vetro e mi ricordano tuo cugino Mottet. Buono quello” aggiunse. Ma il nostro Bottecchia era tutt’altro che interessato alle parole dell’amico e non faceva nulla per dimostrare il contrario. Seduto allo stesso tavolino dello stesso bar, distanziato di pochi centimetri, il Bottecchia rispondeva a Poulidor per il solo gusto di contrariarlo, come si fa nei giorni di luna storta, che nel caso di Bottecchia sono uno si l’altro pure, o quando non si ritiene l’interlocutore in grado di portare a termine un discorso compiuto, che nel caso di Poulidor era una certezza. E così, mentre l’amico lo incalzava, Bottecchia guardava il barista riempire la ciotola delle arachidi sul bancone ad uso e consumo degli avventori e non è arduo indovinare che se gli occhi erano inequivocabilmente all’uomo, gli impulsi visivi si dovevano perdere in qualche ganglio della capoccia sua. Aveva il suo da fare Poulidor ad attirarne l’attenzione. Diciamo pure che i subdoli accorgimenti suggeriti dal suo istinto, cose del tipo battere la mano sul tavolo prima di prendere la parola o pungolare il costato con il gomito, cadevano dietro all’ostinazione di chi non voleva mostrare interesse.
“Quello che voglio dire è che Mottet s’è comprato la stampante a 3D e inizia a lavoricchiarci su. Ora, all’estero ormai sono più diffuse che quelle a laser” Bottecchia captò un che di esagerazione in un contesto che conosceva a malapena e fece aria con la mano. L’effluvio di Poulidor ne risentì, ma una manciata di secondi dovevano bastare per ristabilire il flusso della comunicazione “Ok, come le stampanti laser no, ma comunque sono più avanti. Però qui, dice Mottet, c’è ancora tanta strada da fare. E allora ascolta un po’. Perché non ci informiamo pure noialtri?” Colpo di mano sul tavolino, gomitata nel costato, spostamento della sedia. Nulla “Senti” proseguì Poulidor infischiandosene della mancanza di feedback “io qualcosa da parte ce l’ho per…”
“150 euro?” lo interruppe Bottecchia.
“No, no, qualcosina di più. E poi…”
“Perciò 250?”
Poulidor diede fiato alla bocca con un movimento di diaframma “Forse anche 300″
Bottecchia rimase in silenzio per qualche secondo e Poulidor, aderente al tavolino, attese una frase che poteva immaginare negativa verso le proprie ideee, ma mai quel “Scusa, per fare che?” che Bottecchia gli riservò infine. Le rimostranze di Poulidor rimasero lettera morta. Non che se la prese poi tanto, giusto un “Ti sto parlando, per favore” e la bocca ricominciò a mulinare progetti di dubbia realizzazione. Ma Bottecchia, se prima percepiva qualcosa del discorso, ora aveva definitivamente abbandonato l’amico alle sue strampalate idee. Era successo che Agostini, il vecchio meccanico in pensione, dopo tempo immemorabile aveva terminato la lettura del quotidiano sportivo, di cui aveva letto praticamente ogni riga, eccezione fatta per l’oroscopo, che considerava una panzana, e i programmi TV perché scritti con carattere troppo piccolo. Il fruscio della carta sul tavolo, quando Agostini appoggiò il quotidiano su un tavolino ad un paio di metri dai due giovani, richiamò Bottecchia al suo obiettivo primario della giornata: leggere dell’impresa di Semprini nella corsa ciclistica del giorno prima. Lo attiravano i titoloni che sicuramente gli avrebbero dedicato, le pagine eroiche su quell’impresa che aveva pochi eguali nella storia dello sport. Ecco, pensava ora il nostro, cosa mi ha spinto a rischiare lo sproloquio funesto di Polidor già nelle prime ore del mattino. Sproloquio che puntualmente lo aveva atteso sulla porta del bar, mentre il quotidiano era già finito sotto le avide lenti del meccanico in pensione. Ora tutto era ristabilito, la nuova disponibilità del quotidiano gli offriva la possibilità di svoltare. Bottecchia osservò la preda, richiamò i muscoli delle gambe e si preparò allo scatto. E sicuramente sarebbe guizzato su quel mucchio di carta dai lembi accarezzati dalla corrente, se il compare non lo avesse trattenuto, inaudita scorrettezza, per la maglia. Bottecchia si girò come per chiedere informazioni sul gesto, senza omettere qualche colorito aggettivo, ma quanto Polidour aveva da dire, non si poteva negare, era per se stesso di strategico interesse. “Al giorno d’oggi i finanziamenti vengono dall’Europa. Lì vanno chiesti.”
“E allora vai a Bruxelless” rispose Bottecchia. Un modo carino e arguto per unire intimità e turismo, pensò tra sé. Il ritardo sulla linea di partenza sarebbe potuto risultare fatale. Ecco che Camusso, indefesso battitore di quartieri artigianali e vialoni marittimi sotto il candore lunare, si appropinquava alla preda, anch’esso interessato alle imprese del Semprini, o forse solamente alle modelle stampate a tutta pagina. Bottecchia aveva comunque un buon mezzo metro di vantaggio e la mano tendeva già al premio finale.
“Bottecchia! Bottecchia guarda!” Poulidor lo seguiva a un paio di centimetri, la mano destra ad afferrare la spalla, la sinistra a indicare la televisione. Bottecchia si voltò lentamente, incredulo, verso il compare e lo osservò esclamare “Guarda! Parlano della stampante 3D”.
Va da sé che quella manciata di secondi fu fatale al Bottecchia. Camusso già sfogliava il quotidiano, un’occhiata rapida alla pagina del basket ed una più scrupolosa alla pubblicità dell’intimo “Sognami”.
Bottecchia mise le mani in tasca, sospirò, si voltò verso la porta e disse “Polidour, ce l’ho io un’idea per te” Polidour, intento ad osservare la sua stampante 3D in azione, non rispondeva. “Ascolta a me: compra un’edicola. Davvero. In tutto il paese non ce n’è una. Ti sembra normale?” Ma per la legge del contrappasso, ora era Polidour a bypassare tra l’orecchio destro e il mancino le frasi dell’amico. Constatato ciò, Bottecchia prese la porta e si incamminò per la strada senza una meta, forse immaginando una fotografia di Semprini a tutta pagina e un bel titolone di quelli che non si dimenticano.



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