Evelin è una ragazza timida e riservata, con una spiccata attitudine: l’empatia. Riuscirebbe a trovare il meglio anche nel peggiore dei nemici di ognuno di noi. Ci siamo conosciute per motivi di lavoro: lei e il suo compagno avevano un b&b; in una strada parallela alla nostra. Abbiamo iniziato nello stesso periodo, mese più mese meno, trovando da subito un’idea comune: accogliere gli altri condividendo gli spazi della nostra casa era una forza e non una privazione.
Le circonvoluzioni della vita hanno portato lei e il compagno a intraprendere un’altra avventura lontano da Palermo. Ma è una lontananza fisica, non senti/mentale. Ora dipinge (ecco il suo blogartistico), pubblica libri di ricette (davvero squisite) e scrive nel suo blog dedicato a Palermo ricette, curiosità legate ai piatti che prepara, tradizioni e luoghi.
La seguo da tanti anni, sbavando dietro ogni singola foto di manicaretti deliziosi. Questa volta ho deciso di cimentarmi in una ricetta di un dolce siciliano. Ero alla ricerca di qualcosa di nuovo da proporre per la colazione ai miei ospiti. Qualcosa di semplice ma accattivante, magari qualcosa con una storia alle spalle da poter raccontare. Così mi sono imbattuta nel Biancomangiare.
Cos’è? Il piatto è di origine medievale, può essere dolce o salato. Il suo colore bianco richiama la purezza (per la storia del piatto cliccate qui). La versione dolce la preferisco alla salata. Lo sciroppo di pistacchio esalta il connubio di latte di mandorla e cannella e i miei ospiti hanno gradito anche la storia che si racconta attorno a questo dolce.
A Palermo il biancomangiare compare per la prima volta nello scritto di Giuseppe Pitrè in La vita in Palermo cento e più anni fa. Nel Settecento, dunque, il dolce era presente in città e caratterizzava il monastero di Santa Caterina (in piazza Bellini, esattamente di fronte alla Chiesa della Martorana). Si legge nel testo del Pitrè:
“Tutti i pasticcieri della città gareggiavano nel comporre d’ogni maniera ghiottornie: ma chi poteva mai raggiungere la squisitezza delle feddi (fette) del Cancelliere, dei frutti di pasta dolce di mandorle della Martorana, del riso dolce del Salvatore? Tutti preparavano conserva di scursunera (scorzanera): ma nessuno attingeva alla perfezione di Montevergine, come nessuno a quella della cucuzzata (zucca condita) e del bianco mangiare (specie di gelatina di crema di pollo) di S.a Caterina. Molti menavan vanto del loro pane di Spagna ma in confronto a quello della Pietà, qualunque dolciere doveva andarsi a riporre, lasciando che questo si contrastasse il primato con lo Stimmate nella bellezza delle sfinci ammilati, che pure nel medesimo monastero assurgevano a squisitezza impareggiabile nella forma delle sfinci fradici, composte di uova e panna.”
Del dolce era ghiotto anche Don Fabrizio, il personaggio del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che durante il ballo, si siede ad un tavolo per parlare e gustare un prelibato dolce:
“Mentre degustava la raffinata mescolanza di biancomangiare, pistacchio e cannella racchiusa nei dolci che aveva scelti, don Fabrizio conversava con Pallavicino e…”
Se ho scoperto il biancomangiare lo devo alle curiosità che ha scritto la mia cara amica nel suo blog, dove trovate la ricetta: ora non vi resta che provare.
Grazie Evelin!
Il "suo" biancomangiare è ora anche un poco mio
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