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Draghi, orchi, stregoni, re e regine, principesse e incantesimi.
Non è un fantasy d'oltreoceano, non è Game of Trones, è un film italiano.
E no, non è una di quelle commedie scollacciate che tanto piacciono al pubblico natalizio.
E' l'ultimo film di Matteo Garrone, un regista da sempre radicato nella realtà: la realtà della mafia, portata su grande schermo a partire dal bestseller di Saviano (Gomorra), la realtà dell'anoressia (Primo Amore), la realtà televisiva (Reality).
Ora da questa realtà ci si distacca completamente, si sogna e si crea, si costruiscono regni e li si popola, traendo liberamente spunto dalla raccolta del 1634 Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile, scegliendo 3 tra le 50 fiabe, che si intersecano e si vanno a sfiorare in matrimoni, incoronazioni e funerali, senza mai toccarsi però, legati da un filo sottile e circense.
Protagonisti sono così una regina triste, che desidera un figlio che non riesce a concepire, e che solo il cuore di un drago marino, cucinato da una vergine, potrà soddisfare; un re dongiovanni, ingannato dalla splendida voce di una sua suddita, invaghitosi di lei senza sapere che quella voce melodiosa appartiene a una vecchia segnata dal tempo e dal duro lavoro di tintrice, che per piacere, per denaro, lo inganna; un altro re, più egoista e preso da sé, che cura con molta più attenzione una pulce che non la sua unica figlia, che spera in un matrimonio pieno d'amore e passione salvo poi ritrovarsi -causa duello particolare- a dover vivere dispersa nelle montagne con un orco.
Le storie si prendono e si diramano, le si accoglie e passati 16 anni le si ritrova uguali ma diverse, con quella regina triste che ora è vedova e ha un figlio, identico a quello avuto altrettanto miracolosamente dalla cuoca vergine, con quella sposa soggiogata e ferita, pronta a trovare coraggio in una fuga impossibile, con quella vecchia derisa e umiliata, che ora si prende una rivincita, si gode la sua pelle inaspettatamente soda e bella, le ricchezze di un re che la venera, le gelosie di una sorella che la vuole imitare, a qualunque costo.
C'è tanto in questi racconti, c'è tanto in questo singolo racconto, che finisce inevitabilmente per perdersi, per farci perdere in dedali intricati, dove l'ironia succede al dramma, dove il sangue succede al sesso.
Temi come la bellezza, l'amore sacrificante per il figlio, le lotte interiori ed esteriori per entrare nel mondo degli adulti, ancora moderni, ancora attuali.
Quello che però davvero annienta queste storie, è il modo in cui ci vengono mostrate: immagini incantevoli, paesaggi da sogno, una fotografia che toglie il fiato ad ogni inquadratura, in cui allo splendore di location in cui si vorrebbe andare all'istante, si inseriscono senza creare problemi effetti speciali credibili e altrettanto magici.
Girato tra Firenze, Puglia, Campania e Sicilia ne prende tutto l'incanto, a partire da quelle reggie, quei castelli che i tre sovrani dominano.
Tutta questa bellezza, incorniciata da movimenti di macchina che vanno a seguire i protagonisti, che li scortano con carrelli d'accompagnamento, si fa ancora più grande.
Inevitabile quindi che il racconto dei racconti che Garrone ci vuole mostrare passi in secondo piano, che anche la bellezza di Salma Hayek e di Stacy Martin, la passione di Vincent Cassel, la follia di Toby Jones si integrino più con l'ambiente che non con la storia, che l'occhio si soffermi più a guardare, stupito, che a seguire, in un equilibrio instabile.
Si perde il filo quindi, lo si ritrova più in là, magari, rimasti affascinati da un'immaginazione così vivida e ampia, come quando da piccoli si ascoltavano le favole, le si sognava, poi, facendo più attenzione ai particolari con cui arricchire il tutto, che non alla trama.
Se si tratta di un difetto, non è dato sapere, quello che è certo è che Il Racconto dei Racconti ha una forza visiva talmente particolare da potergli fare un tale complimento: no, non sembra un film italiano.
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