Il racconto dei racconti di Matteo Garrone: la recensione

Creato il 19 maggio 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Non esistono fiabe non cruente. Tutte le fiabe provengono dalla profondità del sangue e dell’angoscia.
(Franz Kafka)

Il grande potere delle fiabe, di tutte le fiabe, sta nel raccontarci la verità del reale tramite l’accattivante maschera del fantastico. Le fiabe ci guardano dentro, parlano di noi, dei nostri desideri, dubbi, sentimenti. Ma lo fanno senza la pesante coltre della realtà e del realismo, che rendono tutto un po’ più ostico e ostile. La fiaba sfodera l’arma della magia, dell’immaginazione, dell’irreale e del surreale per colpire nel segno. Ecco, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone riesce in questo: parlare all’uomo-spettatore tramite la fiaba (del cinema). Perché innanzitutto è di questo che stiamo parlando: il cinema è fiaba e la fiaba è cinema, sin dai tempi delle “attrazioni” di Méliès…

Il racconto dei racconti è una grande indagine sul desiderio umano: il desiderio di maternità (la regina Salma Hayek), di onore e sacrificio (il re John C. Reilly), di indipendenza e autodeterminazione (il principino Christian Lees e la principessa Viola interpretata da Bebe Cave), di egoismo e prevaricazione (il re Toby Jones), di sesso e piacere “a comando” (il re Vincent Cassel), di bellezza e riscatto (le due vecchie Shirley Henderson e Hayley Carmichael). Ed è un’esplorazione che scandaglia con vastità e profondità proprio perché confinata e inscritta nella fiaba (altrimenti il risultato sarebbe stato assai meno efficace). Oggetto è quel desiderio che, in realtà, è il motore delle fiabe di tutti i tempi (il brutto anatroccolo e Cenerentola volevano diventare belli, i Fratelli Grimm avevano una curiosità smodata, ecc.).
Un desiderio che è anche quello di Matteo Garrone di realizzare un film mai visto prima in Italia: un fantasy. Se non fosse per C’era una volta (1967) di Francesco Rosi, anch’esso, come il film di Garrone, tratto da varie novelle de Lo cunto de li cunti di Giovan Battista Basile, staremmo parlando del primo e unico fantasy della storia del cinema italiano (ma con attori di varia nazionalità).

Il racconto dei racconti di Matteo Garrone è il film dei film nel genere fantasy. Anche se, a ben vedere, quell’etichetta di genere gli va un po’ stretta. Sì, perché Il racconto dei racconti non è propriamente un fantasy. Ne possiede degli elementi e dei contenuti (lo stregone, il mostro marino, animali giganti, ecc.), ma il ritmo non è quello dell’avventura, bensì del sogno, della magia, quasi dell’ipnosi. Il film tintinna negli interni e non galoppa nelle praterie. Il racconto dei racconti va oltre il fantasy, facendosi cupissimo, nerissimo, ricco di sangue, quasi horror a tratti. Inoltre, a differenza di tanto simil-fantasy soprattutto orientale, vi rimane forte la componente artigianale degli “effetti speciali”. Sia ben chiaro, il digitale c’è, ma non viene abusato. I tre mostri della storia si muovono poco o nell’ombra o offuscati da torbide acque, e quando li vediamo in piena luce è palpabile la loro componente “casereccia”, ruvida, quasi di macchinari ricoperti ad arte.

A tutti questi elementi Garrone somministra il suo tipico gusto felliniano. È palese sin dalla primissima sequenza, con quei saltimbanchi che ricordano La strada di Fellini, o nel finale con quell’acrobata che rimane in bilico sul filo, sospeso proprio come il film. Ma c’è anche il Fellini più subdolamente e spudoratamente erotico, in quel dito nel buco della serratura succhiato dal re Vincent Cassel o nei prosperosi seni spiaggiati delle donne (forse ninfe?) che partecipano ai baccanali silvestri del re lussurioso.

È inoltre un Garrone che cita la pittura con scorci d’alto valore iconografico e “quadri” dal sapore rinascimentale e barocco. Immagini potentissime rievocano scorci secenteschi e medievali, ma anche Veneri del Botticelli e principesse nel Paese delle Meraviglie che hanno qualcosa delle donne ritratte da Vermeer. Ma non solo le arti figurative, anche le grandi storie e miti dei tempi antichi, da Amore e Psiche a Giuditta e Oloferne.

Insomma, Il racconto dei racconti non è un Game of Thrones all’italiana, né tantomeno una fotocopia del fittizio mondo del Signore degli anelli, né ancora il “felice e contento” scenario immaginato da bambini e nonni avidi di letture come accadeva nell’indimenticabile La storia fantastica (1987) di Rob Reiner. Nel film di Garrone non c’è realtà né proiezione nell’immaginazione, ma solo un mondo fantastico. E, proprio perché non mediato, Garrone può calarvi tutto il suo mood onirico, stagnante, inquietante. Ma non solo. Garrone mette presto da parte quel velato virtuosismo che da sempre caratterizza il suo cinema, rimettendosi alla “semplice” narrazione di storie meravigliose che oggi non sappiamo più inventare, finendo per accompagnare il tempo del racconto con umiltà e personalità, come un buon “servitore di corte”, come il fido primo consigliere del vero racconto dei racconti: il Cinema.

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