Il racconto del pane perduto e ritrovato

Creato il 01 dicembre 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Volendo immaginare una storia partendo dal nome, pane perduto, sembrerebbe che sia passato nei paraggi un bambino delle favole molto, molto sfortunato: ma come, mi lasciano solo, in giro per il bosco, con un tozzo di pane da mangiare e lo perdo anche?

Ora, piccola parentesi: prima di dire, guardando i vostri figli, nipoti, bisnipoti e figli di amici davanti alla televisione, la solita frase “i cartoni di oggi sono pieni di violenza”, pensate bene alle favole che ci propinavano da piccoli. Si parte dall’incesto in Pelle d’Asino e, attraverso un tortuoso percorso di abbandono minorile (Hansel e Gretel, ma lì c’è anche il cannibalismo) e omicidi seriali (in Pollicino, per esempio, l’orco decapita le sue stesse figlie con l’aiuto del caro protagonista) si giunge bel belli alle frattaglie di Biancaneve in un cofanetto delle caramelle Sperlari richiesto dalla bella Grimilde e alle rosse scarpette di Andersen che conducono a morte a passo di danza la protagonista. Pensateci, prima di parlar male dei Gormiti e delle Winx.

Fine della parentesi: torniamo al nostro pane perduto. Di solito il pane non è un problema di per sé: si trova ovunque, ed arriva sulle nostre tavole –ove tavola vi sia, nel senso di mensa familiare- in consistenza già simile alla gomma da masticare, o sostituito da baguettes congelate, precotte e dorate dal macchinario elettrico di un supermercato per offrirci la consolatoria quanto improbabile idea che il pane appena sfornato non solo esista ancora, ma riesca bensì a riscaldare la nostra triste vita quotidiana. Lo troviamo anche nelle orride forme dei panini da hamburger insesamati e trattati con etanolo e dei crackers con e senza sale e olio di oliva (anche se non mi dispiacerebbe sapere quanta oliva c’è in quell’olio). In questi penosi casi, possiamo ben dire che il pane è perduto, sostituito dalla fretta e dall’incuria verso un alimento pregiato e prezioso.

Tuttavia, se per un purissimo caso siete venuti in possesso di un pane fresco, fragrante, che sia umbro o toscano, sardo o materano, o ancora pugliese o campano, un pane dalla crosta bruna e croccante da graffiare il palato e la mollica dorata o nocciola con grandi occhi sospiranti, allora quel pane che porta dentro il ricordo dei cereali che hanno respirato sole e lavoro, quel pane lì… trattatelo con ogni riguardo. Spogliate le forme scure da ogni materiale che non sia il lino di un canovaccio pulito, mangiatele con gli occhi, dapprima. Riempite le narici di quel profumo raro. Apprezzate le consistenze diverse, le ossa e le carni di quel corpo tondo. E quando le mascelle viziate penseranno che non è più il caso di metterlo in tavola perché troppo duro, allora… non lasciatelo andar perduto.

La ricetta vuole che il pain perdu sia fatto con delle fette di pain brioche: ecco, proprio quello che spero non facciate. Tagliate le fette di pane raffermo dalla nostra amata pagnotta (la parte che ha resistito a molteplici attacchi sferrati con indicibile ferocia a colpi di piattoni di salumi e formaggi) e togliete la crosta. Mettete a bagno il pane in latte fresco leggermente zuccherato e lasciatelo fino a quando non torni a respirare morbidamente. Nel frattempo, sbucciate delle pere mature ma sode, tagliatele in quarti e privatele della parte centrale. Fatele caramellare in una padella larga (le pere sono schizzinose, vogliono spazio) con un po’ di burro e qualche cucchiaio di zucchero. Aromatizzatele secondo l’umore e le vostre preferenze: cannella o vaniglia, liquore all’arancia, pistacchi o anche zenzero …in questo caso, benché schizzinose, le pere si dimostrano accomodanti ma per il momento che restino lì, tranquille e al caldo.

Tornate dal pane, eliminate il latte in eccesso e datelo al gatto che sicuramente è lì che vi gira intorno da quando siete entrati in cucina. Invece le fette vanno passate molto rapidamente nello zucchero e quindi nell’uovo sbattuto. Ed ora, armatevi di una notevole quantità di coraggio e friggetele in padella col burro (chiarificato, se ne avete), stessa quantità del coraggio. Come accade per le virtù e per il vizio, il burro non conosce moderazione.  Mi sembra già di sentire le geremiadi dei colesterolici, dei sempre-a-dieta, di quelli che per-carità-io-solo-evo. Niente da fare: burro tout court o cambiate ricetta.

Ora, prima di far accomodare le pere impazienti, posate le fette di pane ormai caramellate su un piatto caldo (mai far raffreddare la passione), sorvolate con un sospiro, un’ipotesi di sale e quindi le impazienti ancorché tiepide pere troveranno posto al centro della splendente delizia brunita.


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