Magazine Cucina
Raffaello Spagnoli, nato a Castenedolo nel 1949, vive a Bovezzo (BS).
Scrive e partecipa a concorsi da circa dieci anni, nel corso dei quali ha avuto la soddisfazione di circa 150 primi premi ed innumerevoli premi minori in concorsi riguardanti prosa, poesia in lingua e poesia dialettale. Con il racconto “Un assaggio di tempo” partecipa al quinto concorso letterario di Villa Petriolo “Wine on the road”. Buona lettura!
Racconto “Un assaggio di tempo” di Raffaello Spagnoli
Non esiste nulla che possa fare luce dentro un cuore angosciato. O deluso.
L’uomo arrancava nella vita, in quello che ne rimaneva, con la determinata disperazione di chi non ha più nulla da difendere. Si muoveva con sgraziata noncuranza vestito come capitava, senza alcun cenno di ambizione, senza il ricordo di quel che era stato. Che diavolo era stato, poi?
Bussò alla porta del cascinale usando il batacchio in ferro che pendeva dal suo supporto, senza rendersi conto dell’esistenza del pulsante illuminato del campanello. Se lo avesse fatto sarebbe stato investito da un fascio luminoso violento e impudico che gli avrebbe fatto risaltare ogni singolo segno, ogni singola ruga che gli solcavano il volto. E invece, nella penombra di quel pergolato all’imbrunire, gli venne ad aprire nientepòpòdimeno che un vero maggiordomo. “Senti, che ci fa un maggiordomo dentro una cascina?” Il maggiordomo lo squadrò come si trattasse di uno sputo rimasto appiccicato a un muro. “Prego?” L’aria era sussiegosa e compìta, come deve essere per un maggiordomo. “Che accade, Armando? Chi c’è alla porta?” si aggiunse una nuova voce. Maschile.
Il padrone di casa si avvicinò all’ingresso, inquadrò la scena e ne risultò incuriosito. Quasi fu automatico che lo sconosciuto, dopo averlo squadrato inventariando la veste da camera in seta portata sopra un paio di pantaloni da tuta ginnica e il petto peloso e nudo che si intravedeva tra la seta ed il cotone di una maglietta con tre bottoncini dicesse: “Sei tu che comanda, qui.” ed era una constatazione. Riprese: “Cosa fai per emozionarti?”
Il maggiordomo sembrava diventato una statua di cera.
Il padrone di casa sembrava essere stato colpito da un fulmine in forma di pensiero. Lo si vide scomparire per un attimo dentro chissà quale propria intimità e quando ne emerse si avvicinò al forestiero e gli chiese quasi con aggressività: “E a te che te ne importa?”
Il forestiero disse con tono conciliante: “La domanda ha molto più senso di quanto si possa valutare di primo impatto…”
L’altro gli replicò: “Effettivamente…..” in tono condiscendente, con voce paziente e calma.
Nella lunga pausa che ne seguì, il maggiordomo sembrò sul punto di sbattere la testa contro il massiccio montante della porta, mentre malediceva tutti i propri ascendenti, come fosse colpa loro se lui veniva ora a trovarsi in quella situazione surreale. Aveva servito in quella casa per decenni e mai aveva visto il suo datore di lavoro affrontare con tanta titubanza un nuovo venuto, per di più male in arnese come quello.
“Armando, aggiungi un coperto a tavola, per favore. Il signore si ferma a cena. Ed avverti la signora che non sono ammesse emicranie.” Il padrone di casa doveva saper essere assai convincente anche con la “signora”, come si conviene ad un vero appartenente ad una dinastia.
Il maggiordomo Armando girò sui tacchi e si diresse verso l’orizzonte.
Il padrone di casa prese sottobraccio il suo ospite e lo condusse con se.
“Senta…..Senti, ti spiace se ti do del tu? No? Bene! Cosa fai nella vita? Voglio dire, come ti mantieni, di che vivi?”
“Non so neppure come ti chiami. Dove siamo qui? Che posto è questo?”
“Questo posto è casa mia e questa casa è nella Franciacorta e io mi chiamo Roberto, di un’antica famiglia di vignaioli, viticoltori e vinai, produttori di una rinomata qualità di vini che vanno dal rosso più schietto allo spumante più sofisticato che nei supermercati trovi solo nello scaffale chiuso a chiave.”
“Che se ne fa un supermercato di uno spumante sotto chiave?”
“Non se lo fa rubare…I nostri prezzi non sono dei più abbordabili ma ti assicuro che ogni goccia del nostro vino vale fino all’ultimo centesimo che chiediamo. Non sono tantissimi quelli che lo bevono abitualmente ma nessuno di loro metterebbe mai le corna a una nostra bottiglia.”
Il forestiero non ebbe da replicare.
La veste da camera di Roberto frusciava mentre gli faceva strada lungo un percorso che sembrava studiato apposta per mostrare tutta la casa.
“Questa era davvero una cascina, un tempo, e a quel tempo era abitata da veri contadini, i miei bisnonni. Il padre di mio nonno ha lavorato più di una vita intera per costruire questi muri usando le pietre contro le quali il suo aratro andava a sbattere. Queste amene colline devono essere state il contenitore di un bel ghiacciaio, anticamente, prima che si formasse il lago. Il ghiaccio se n’è andato ed ha lasciato questi bei pietroni tondi e levigati appoggiati lungo i fianchi delle colline. Deve aver bestemmiato dal mattino alla sera, mentre li spostava uno ad uno. A quel tempo non è che ci fosse tutta questa vigna, qui intorno. Ci si coltivava di tutto e veniva bene ma era un peccato che tutto il sole che illuminava le colline non avesse qualcosa di veramente ricco da far maturare, a parte il foraggio per le bestie ed il granturco per far polenta. Così il padre di mio padre, che era uno gagliardo e furbo, con sangue di commerciante dentro le vene, mise a dimora i primi filari. L’ho conosciuto. Era uno che non si faceva spaventare da niente. Era andato in guerra e ne era tornato con qualche ferita in più ed il giorno dopo che era rientrato a casa stava lavorando alla sua vigna e ai suoi campi come se non si fosse mai allontanato un momento. Ha avuto pochi figli, al contrario di molti altri suoi contemporanei, e li ha allevati senza morbidezze ma anche senza eccessivo rigore. Li voleva con le palle e li ha avuti. Hanno messo in piedi una bella fortuna. Ma non mi hai ancora risposto. Chi sei? Che fai? Dove vai?”
Il forestiero si fermò di botto, il padrone di casa si fermò di botto. Si guardarono. Il forestiero disse: “Non lo so.” Il padrone di casa disse: “Cosa non sai?” Il forestiero rispose: “Niente. Non ho la minima idea di cosa devo rispondere alle tue tre domande. Il fatto è che non so niente. Vorrei avere delle risposte interessanti e intelligenti ma credo che la mia vita sia andata leggermente alla deriva, cammin facendo.” L’altro disse: “Non ho capito una parola di quello che hai detto. Sei pericoloso?”
“Credo di no. E non ho neppure delle malattie strane. Credo solo di essere andato fuori di testa, tempo fa. I dottori dicono che per un sacco di tempo ho lavorato troppo e che il mio sistema nervoso non ce l’ha fatta a reggere lo stress. Questo dicono.” Calò il silenzio. La camminata riprese.
Uscirono di casa, entrarono in un portone bellissimo, di legno massiccio, di un edificio attiguo, scesero dei gradini in religioso silenzio. “Mi hai chiesto cosa faccio per emozionarmi. Questo!”
Il gesto del braccio e della mano era eloquente tanto quanto l’immenso locale in cui le botti riposavano mentre dentro le loro pance il vino lavorava, maturando, trasformandosi, acquisendo una natura differente da quella grezza e ruvida ma straordinariamente profumata dell’uva appena spremuta.
Il forestiero guardò quello che lo circondava. “Che mondo è questo?”
“Davvero ti interessa conoscerlo?”
“Per una volta si! Qui si sente che davvero il tempo ha un valore e un senso. Qui il tempo è amico dell’uomo e delle sue opere, lo accompagna, lo aiuta, lo ama.”
Un silenzio pensoso si allungò tra i due, una sorta di muta condivisione di una verità per loro palese.
“Allora devi fare due cose. La prima: assaggiare il mio vino. La seconda: venire a lavorare per me. Credo di avere bisogno di una testa con non tutte le rotelle a posto, qui. E’ qualche tempo che manca un tocco di originalità nella nostra organizzazione. Spero che tu la porti. Se non lo fai, ti do una bella pedata in culo e sei libero.”
“Ci sto. Però prima voglio assaggiare il tuo vino. Anzi, i tuoi vini. E tieni il migliore per ultimo.”
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