Tutte le 256 antenne della stazione LWA-1 del Long Wavelength Array, in New Mexico. Crediti: LWA Project (UNM)
A prima vista sembra una coltivazione di alberi di Natale albini nell’arido altopiano centrale del Nuovo Messico, ma le 27 antenne paraboliche del radiotelescopio VLA che si stagliano sullo sfondo richiamano immediatamente alla memoria Jodie Foster in caccia di segnali alieni nel film Contact, l’adattamento cinematografico dell’omonima novella dell’astrofisico Carl Sagan. Anche i candidi arbusti sono dunque antenne, 256 dipoli collegati assieme a formare un unico radiotelescopio che, con la consueta sobrietà, è stato chiamato LWA1, ovvero la stazione numero 1 del progetto LWA, Long Wavelength Array. Completato nel 2012, LWA1 è progettato per l’osservazione delle onde radio con frequenze comprese tra 25 e 75 MHz prodotte da esplosioni di raggi gamma (GRB), uno dei fenomeni più energetici dell’Universo, presumibilmente associati al collasso di stelle in rapida rotazione a formare stelle di neutroni e buchi neri.
I lampi gamma sono solitamente seguiti da un bagliore (afterglow) a lunghezze d’onda più lunghe, dai raggi X fino alle onde radio. Proprio la componente radio è quella meno osservata, quindi è comprensibile una certa aspettativa per i dati di LWA, che produce immagini dell’intero cielo radio. I ricercatori dell’Università del New Mexico (UNM), guidati da Greg Taylor, responsabile di LWA, spulciando pazientemente le prime 11.000 ore di osservazioni fatte con LWA1, si sono trovati di fronte qualcosa d’inatteso. Hanno infatti trovato ben 49 “transienti lunghi” – dei fenomeni occasionali che hanno dato origine a segnali radio durati non meno di una trentina di secondi – che non corrispondevano con i lampi gamma osservati nello stesso periodo. Se non erano l’eco di un fenomeno violento e lontano, cosa produceva allora quelle tracce radio?
Immagine radio (ripulita dalle sorgenti costanti per chiarezza) ottenuta da LWA1 a 38 MHz il 21 gennaio 2014 di una rara meteora che ha lasciato una scia brillante durata oltre un minuto. Crediti: LWA
Ken Obenberger, lo studente UNM incaricato dell’analisi dati e primo autore dello studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, ha intuito che si trattava di qualcosa di ben più domestico. Convinzione che si è consolidata il 21 gennaio 2014, quando sugli schermi di LWA1 si è disegnata una traccia che, in meno di 10 secondi, ha coperto più di 90° di cielo, prima di affievolirsi gradualmente in una novantina di secondi. “La sola sorgente conosciuta che possa coprire una tale distanza in cielo in meno di 10 secondi lasciando una traccia persistente è una meteora”, racconta Obenberger.
Ma come fare a provare l’idea che fossero proprio delle meteore a lasciare quelle tracce radio, una cosa che nessuno aveva mai osservato prima? Il gruppo di ricerca ha comparato la posizione dei segnali transienti con i dati provenienti dal All Sky Fireball Network, un sistema di sorveglianza della NASA composto da 12 telecamere che registrano la posizione, velocità, luminosità e massa dei bolidi che solcano il cielo. Due delle telecamere sono collocate proprio in New Mexico e quindi sorvegliano la stessa parte di cielo vista da LWA1. Dall’analisi è risultato che 39 dei 49 oggetti transienti rilevati da LWA1 non sono stati visti dalla rete NASA, perché erano fuori campo o perché gli eventi si sono verificati di giorno. Fra i rimanenti, 5 corrispondo abbastanza bene con bolidi relativamente luminosi rilevati dalla All Sky Fireball Network. Dai conti di Obenberger e colleghi risulta che questa non può essere una mera coincidenza: sono proprio le “stelle cadenti” a “trasmettere” in onde radio.
E’ una scoperta affascinante, che innesca immediatamente una serie di domande, di cui la principale è ovviamente quale tipo di meccanismo fisico faccia produrre ai bolidi onde radio in bassa frequenza. Una possibilità è che si tratti semplicemente di riverberi, cioè che la scia lasciata dalle meteore rifletta delle onde radio prodotte al suolo, un fenomeno ben conosciuto e utilizzato in passato per la loro localizzazione. Ma Obenberger e colleghi la pensano diversamente. Le trasmissione umane sono usualmente polarizzate, come dovrebbe esserlo il relativo segnale riflesso, ed hanno spettri facilmente identificabili, ma il gruppo di ricerca non ne ha trovato traccia. “La nostra conclusione è dunque che le scie delle meteore producono radiazioni di bassa frequenza”, affermano i ricercatori in coro, mentre cercano di offrire qualche spiegazione a questo fenomeno sconosciuto. Hanno calcolato che l’energia radio totale emessa è una minuscola frazione dell’energia cinetica di una meteora tipica, quindi l’energia non pone grossi problemi teorici. Inoltre, anche se è vero che le meteore producono una scia di plasma, il team ha calcolato che il plasma sarebbe troppo freddo per generare onde radio a queste frequenze solo dall’emissione termica. Quindi, ci deve essere qualcos’altro che fa emettere le scie. Un “qualcosa” che al momento rimane un mistero della fisica.
Riferimento: Detection of Radio Emission from Fireballs, arxiv.org/abs/1405.6772
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini