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E' vero che la follia è un fiume in piena, imprevedibile il decorso, ma la follia non basta mai a se stessa, va nutrita, alimentata. E forse è vero che ultimamente diamo per scontate un sacco di cose, tutti, ognuno di noi.
Che passiamo indifferenti davanti a manifesti inneggianti e deliranti di un certto tipo (che guarda caso in questo periodo sono attaccati un pò ovunque), ci rifugiamo nel cinismo del tanto non cambierà niente o peggio chiudiamo gli occhi e neghiamo che esistano problemi non correlati con il nostro piccolo orto.
Perchè proprio qui, perchè ora.
La terza domanda è che avremmo fatto se uno dei due o tutti e due fossero nostro figlio.
Nostro figlio che ancora non c'è, ma che fino ad oggi credevamo di poter crescere in una città non priva di difetti, ma comunque abituata alla multietnicità, in cui mai avevamo mai neanche una volta respirato l'intolleranza razziale. Ma ci sbagliavamo. Non perchè Firenze, come è stato subito scritto da alcuni giornali, sia una città razzista, ma perchè l'intolleranza è intolleranza verso qualsiasi cosa si rivolga e in qualunque città e verso qualunque essere umano.
E allora forse dobbiamo smetterla di accontentarci delle certezze surrogate, tipo non-ho-mai visto-episodi razzisti-nella-mia-città, perchè in fondo non è così, non questo momento e non in questo paese.
Perchè "Il razzismo esiste ovunque vivano gli uomini. Il razzismo è nell'uomo. Si è sempre lo straniero di qualcuno. Imparare a vivere insieme, è questo il modo di lottare contro il razzismo." Possiamo dire che questi siano tempi in cui le persone apprezzano ciò che è straniero? Pensiamoci un attimo: la ricetta della torta di mele della vicina (io la fo meglio), l'educazione dei figli (io col mio non lo farei mai),un modo inedito di approcciare un problema (alla larga la pericolosa novità sovversiva), la religione (no comment) e ..ebbene sì ancora le donne (sempre no comment), dire la verità (ma scherzi?)..un ungo elenco.
Pensiamo a quanto razzismo c'è tra noi, cromaticamente e geograficamente conformi e il colore della pelle o la provenienza diventeranno la coda di un lungo elenco.
Ognuno di noi è straniero a qualcosa, bisognerebbe ricordarselo come un mantra ogni mattina al risveglio.
E capire che questo, lungi dall'essere un limite, è la nostra opprtunità per uscire dal nostro piccolo smisurato me. Glielo dobbiamo, non solo a Diop Mor e Samb Modou e anche a Sogou Mor e Mbenghe Cheike, ma a tutti quelli, che indipendentemente dal colore della pelle, o dall'etnia o religione o altro a cui appartengano, si sentano osteggiati o discrimninati tollerati o ignorati senza una valida ragione.
Stanotte ho sognato che una giovane paziente appena operata al cuore entrando in reparto tirava fuori dalla valigia una bandiera del senegal fatta a maglia e la appendenva nella sua stanza tra l'applauso degli altri pazienti. Senza dubbio è forte il mio bisogno di vivere in un paese civile e senza dubbio gli eventi privati che stiamo vivendo in questo periodo si sono legati inevitabilmente a questi eventi pubblici.
Si può dire che ci siamo trovati a discutere di qualcosa che accadeva non così lontano, ma proprio dietro casa nostra.
Ma proprio per questo ho percepito, anche oggi, più che mai, che davvero, come ha detto una volta qualcuno, il futuro è l'unico posto dove possiamo andare, per cui le retromarceo le frenate o le deviazioni, per quanto terribili, non fermeranno i giorni che passano, i colori che si mescolano, i mille modi di fare una singola cosa. Ma ben prima di questo dobbiamo reimparare l'abc del rispetto, della com-passione a partire dal nostro dietro l'angolo. Per noi, ma anche per i figli, di qualsiasi colore siano, per cui il nostro dietro l'angolo sarà il mondo. Perchè non ci sia più da pensare a cosa dire ai genitori di un Mor o un Modou quando legittimamente chiederanno come e perchè sono morti loro figli in una qualsiasi mattina di dicembre, mentre lavoravano, al mercato di piazza Dalmazia.
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