Era un po’ che l’opinione pubblica e i social network non si occupavano del Museion di Bolzano. Lontani i fasti dell’inaugurazione, con le infuocate polemiche riguardanti la rana crocifissa di Martin Kippenberger, si sono dovute affacciare alla ribalta (peraltro in modo involontario) alcune addette alle pulizie dei locali espositivi per riavere una performance degna di questo nome e i riflettori puntati.
Rimuovendo l’installazione intitolata “Dove andiamo a ballare stasera?” – in pratica un mucchio di spazzatura accuratamente predisposta dal duo Goldi&Chiara –, ecco il re dell’arte contemporanea di nuovo messo a nudo, come piace a ogni emulo di Remo e Augusta Proietti, gli sgangherati popolani protagonisti delle “Vacanze intelligenti” di Alberto Sordi (film del 1978, ma sempre godibile per capire come si possa fraintendere il significato di un’arte poco intuitiva). E giù insomma con le risate e le pernacchie: in fondo quelle donne delle pulizie hanno semplicemente ristabilito la verità, perché non è possibile certo scambiare per arte un mucchio di spazzatura.
Purtroppo, invece, non solo è possibile scambiare un mucchio di spazzatura per arte, ma è persino inevitabile. Anche solo frequentando i più abbordabili manualetti sull’argomento, un simile scambio è culturalmente legittimato da almeno cento anni, vale a dire dal primo ready-made ideato da Marcel Duchamp nel 1914. Non esiste ricetta più facile. Si prenda dunque un oggetto comune (uno scolabottiglie, come fece Duchamp, o delle bottiglie, come nel nostro caso), lo si piazzi in una galleria o in un museo, dunque decontestualizzandolo e defunzionalizzandolo, e quello assumerà lo statuto di un simbolo polisemico. Voilà: l’arte diventa arte non in virtù della bellezza o della particolare esteticità di un manufatto, ma semplicemente perché a decretarla tale è un artista, un gallerista, un direttore di museo o un critico d’arte. E chi volesse essere colpito dalla sindrome di Stendhal si rivolga a un altro indirizzo.
Rimane da spiegare perché, allora, le persone continuano a stupirsi di tali “incidenti”, sentendosi poi in diritto di compitare quattro sporadici pensierini sul tema “che cos’è un’opera d’arte”? In attesa di una risposta, per adesso limitiamoci a stigmatizzare il fatto: non esistono sufficienti donne delle pulizie in grado di rimuovere le opinioni spazzatura profuse al riguardo.
Corriere dell’Alto Adige, 27 ottobre 2015