Mentre nelle prime pagine dei giornali, in bella vista, si dà risalto alle elezioni francesi e alle amministrative italiane, nell’assoluto silenzio dei media, si è svolto in Sardegna un referendum… anzi dieci referendum “rivoluzionari” che dovranno cambiare o cambieranno volto alla regione. Parlo dei referendum “anticasta”, il cui scopo era ed è quello di abolire i carrozzoni politici note ufficialmente come le province sarde o province regionali, poiché istituite con legge regionale (Carbonia-Iglesias, Villacidro-Sanluri o Mediocampidano, Ogliastra, Olbia-Tempio).
Spesso in questi anni ci si è domandati quale fosse lo scopo di queste province anomale che si affiancavano alle storiche Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano (istituite invece con legge statale). Ebbene, la risposta di chi le sponsorizzò (quasi tutta la sinistra isolana) è sempre stata la stessa: avrebbero permesso una maggiore vicinanza delle istituzioni ai cittadini e un maggiore sviluppo del territorio di riferimento, abbandonato — si diceva — dalle amministrazioni delle province storiche. La verità purtroppo (e prevedibilmente) è stata diversa: più che favorire una maggiore vicinanza delle istituzioni ai cittadini e sviluppare il territorio, le nuove province si sono tradite per quello che effettivamente erano: carrozzoni politici, poltronifici per terze file o riciclati. Insomma, inutili enti che producevano (e producono) tanta carta, tante belle parole, tanti studi e tanti politici che consumano risorse, senza che veramente questi enti avessero reali competenze o funzioni che altri enti concorrenti (esempio i Comuni) non potessero svolgere, magari con maggiore efficienza.
I sardi hanno deciso di cancellarle. Con il loro voto hanno detto chiaro e tondo che queste province devono scomparire. E questo nonostante la politica abbia remato contro. In particolare parlo della sinistra, che non ha partecipato al referendum1 e che anzi ha dato (ufficiosamente) “indicazione” di astenersi per impedire il raggiungimento del quorum. Il motivo è semplice: da sempre le costose e inutili province sarde, comprese quelle di recente istituzione, sono monopolio del centrosinistra, il quale attraverso esse gestisce una rete di potere politico straordinario e radicato. Tolte di mezzo le province, la sinistra perde una grossa fetta di potere nel territorio. Il che, per quanto mi riguarda, non può che far bene a una regione dove i rossi praticamente la fanno da padrone nella stragrande maggioranza dei Comuni, delle Province e degli Enti pubblici in generale.
Ma, a parte, le ragioni politiche (che comunque non si discostano tanto da un ragionamento pragmatico, legato alla diffusa incapacità delle amministrazioni di sinistra di risolvere effettivamente i problemi endemici del territorio sardo, sui quali piuttosto si poggiano evidenti e diffuse clientele politiche), le ragioni più evidenti sono di opportunità; quelle opportunità più sopra dette.
Ciò detto e tornando all’oggetto del titolo, i referendum “rivoluzionari” sono stati abilmente fatti passare sotto tono. I media nazionali e locali hanno speso davvero poche parole per questo evento elettorale “anticasta”. E i motivi possono essere tanti e diversi: forse perché riguardava un popolo isolano di poco più di un milione e quattrocentomila abitanti. O forse perché — ed è questa la mia impressione — i referendum hanno costituito il punto di formidabile concretizzazione di una tendenza antipolitica diffusa, hanno indicato la via verso il vero taglio agli sprechi che opprimono la nostra società; quegli sprechi che sorreggono carrozzoni politici il cui unico scopo è dirottare risorse verso una classe politica inutile che non produce risorse e che mira semplicemente ad arricchirsi e vivere negli agi e nell’amministrazione del potere, alle spalle del cittadino comune, al quale dà solo l’illusione della sua indispensabilità.
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Chiudo con una nota: i referendum miravano pure a ottenere un taglio del numero dei consiglieri regionali e dei loro stipendi. Che dire? Anche su questo tema, i sardi si sono pronunciati in modo categorico, esprimendo con il loro voto il malessere profondo di un’intera nazione che in un momento di crisi come questo e di una pressione fiscale bestiale, non tollera più sprechi e agi da ricchi papponi e nobili privilegiati. Il messaggio alla Casta è chiaro: la festa è finita.
- Promosso dal Comitato Referendario Sardo, sostenuto dai Riformatori Sardi e da un nutrito gruppo di esponenti politici del centrodestra, tra i quali Ugo Cappellacci, seppure ci siano stati consensi trasversali. ↩
di Martino © 2012 Il Jester