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Il regno di Ga’hoole – La leggenda dei guardiani

Creato il 25 ottobre 2010 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Inforcate gli occhiali del 3D e godetevi l’ultima avventura firmata Zack Snyder: dopo 300 (2007) e Watchmen (2009), il regista americano si cimenta con i libri della collana di Kathryn Lasky, Guardians of Ga’Hoole.

Lo scontro tra bene e male è il fulcro della storia di Soren e Kludd, due giovani fratelli gufi alle prese con le prime lezioni di volo. Soren, sognatore e dall’animo buono, ama rivivere la grandiosa leggenda dei guardiani di Ga’Hoole, mitici gufi che in un’eroica battaglia avevano sconfitto il male e riportato la libertà. Kludd, impacciato e cinico, tramuta tutta la gelosia nei confronti del fratello in vile aggressività. I due, per puro caso, intrecciano le loro sorti con quelle dei Puri, spietati barbagianni che, in nome di una razza superiore, rapiscono gufetti per farne dei soldati implacabili. Di fronte alla crudeltà dei Puri e al sogno di libertà di Ga’Hoole, regno visibile solo ai cuori candidi, Soren e Kludd faranno la loro scelta, che li condurrà ad un mirabolante viaggio tra realtà, guerra e mito.

Snyder, noto per le sue acrobazie visive, si misura stavolta con un genere che non è né quello di 300 né quello di Watchmen o dell’Alba dei morti viventi (2004), ma che ha a che vedere con il delicato mondo delle storie per bambini. L’operazione è quanto mai audace. Non è affatto semplice catturare lo spettatore personificando un animale che di bello ha ben poco: i gufi sono spennacchiati, notturni, altezzosi e inquietanti. Mangiano teneri topini e combattono con una violenza disumana. Inoltre, il regista mette ben in mostra i segni distintivi del suo stile, sempre inusuale e mai banale (e per questo può non attirare tutti): dal tema (la libertà dell’individuo), alle scelte iconografiche, fino ad alcuni espliciti richiami a 300, tutto parla di Snyder. Nonostante ciò, il risultato è un film che sa catturare l’attenzione dall’inizio alla fine: non solo quella dei bambini, ma anche (e forse di più) quella degli adulti. L’intreccio di trama e forme, infatti, oltre che di puro divertimento, si fa portatore di un tema universale.

Tutto ruota attorno al significato del volo: c’è chi impara a volare per sovrastare gli altri, quelli che volano un po’ più in basso, e c’è chi vola semplicemente per godere della bellezza del volo. Il viaggio di Soren attraverso la libertà e il volare (parole quanto mai affini nei significati) è un vero e proprio romanzo di formazione: il protagonista cresce solo a seguito di incredibili peripezie che ne mettono a dura prova le convinzioni e la forza. L’apprendistato di Soren è, infatti, un impetuoso incontro con le forze della natura: acqua, fuoco, terra e vento sono gli elementi che sfidano il volo e attraverso i quali il giovane gufo sente maturare un forte senso di libertà.

Libertà e volo si commisurano con la guerra, le sue brutture, le sue riscritture eroiche e le sofferenze taciute o esaltate per edificarne il mito; la guerra che lascia segni e cicatrici, oltre che libri e leggende, e che Soren combatte solo per la libertà propria e degli altri, mai per sottomettere qualcuno.

Tutto è sin troppo chiaro: un’ora e mezza di film sui gufi, ma il riferimento è alla condizione umana. E Snyder, con la sua potenza visiva, cerca (e ci riesce!) di far percepire sulla pelle degli spettatori il volo dei gufi: scenari a perdita d’occhio che saturano la vista; vorticose arrampicate per i cieli e vertiginosi precipizi verso l’acqua e la terra; il ralenti imponente che si fa immagine veloce e violenta; la magniloquenza della composizione, delle pose e dei colori: ogni elemento conduce lo spettatore ad un salto dopo l’altro nel vuoto dello schermo. Mai come in questo caso il 3D centra l’obiettivo e mai come in questo caso l’esperienza del film è totalizzante.

Veronica Mondelli


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