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IL “RELATIVISMO” DEL PAPA? di GLG, 11 ottobre ‘13

Creato il 11 ottobre 2013 da Conflittiestrategie

[Santità”, chiede per esempio Scalfari nella sua intervista, “esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?”. “Ciascuno di noi”, risponde il Papa, “ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. “Lei, Santità”, incalza gesuiticamente Eugenio, al quale non pare vero, “l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa”. “E qui lo ripeto”, ribadisce il Papa, al quale non pare vero neanche a lui. “Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”.]. (dal Foglio)

 

Non mi interessa star qui a discutere di Bene e di Male. Leggendo la frase del Papa – che sembra non solo giustificare, ma considerare decisamente positivo (“il mondo sarebbe migliore”) che i diversi singoli individui (“ciascuno”) li concepiscano differentemente, secondo la loro coscienza – sarebbe facile obiettare che vi erano nazisti profondamente convinti di un avanzamento del mondo se si fosse imposta la loro visione dello stesso. E sarebbe difficile sostenere che la signora Goebbels, nel mentre avvelenava i quattro figli, non fosse sinceramente convinta dell’impossibilità di vivere in un mondo futuro privo di quella “luce” e di quella “speranza”. Considerazioni simili valgono per coloro che buttarono le bombe atomiche sulla popolazione civile giapponese (centinaia di migliaia di morti con la scusa di salvare la vita ad alcune migliaia di soldati statunitensi accorciando la guerra) e che in seguito hanno massacrato milioni di altre persone, aggredendo un po’ dappertutto, sempre però per salvare le popolazioni di questo o quel paese dalla “dittatura”, da un’esistenza priva di “libertà” (quella che loro ritenevano la migliore libertà possibile).

Noi abbiamo il dovere di denunciare le immonde menzogne dette per coprire simili infamie; tuttavia, dobbiamo sapere e capire che una parte (e non piccola) degli autori di queste ultime, commesse in ogni dove ieri, oggi e pure domani, è soggettivamente convinta della giustezza di certe scelte. Noi condanniamo le colpe, i delitti dei vari individui o gruppi organizzati, perché andiamo oltre le convinzioni soltanto personali, sforzandoci invece di afferrare le funzioni da essi esplicate in diverse congiunture storiche. Siamo interessati a indagare la direzione impressa alla storia dallo svolgimento di dette funzioni; cerchiamo, in definitiva, di emettere dei giudizi sui processi che esse mettono in moto.

Anche Papa Francesco svolge una funzione. E’ pienamente convinto di quanto dice o si comporta furbescamente per recuperare la fiducia di tanta parte di popolazioni varie, rimaste disorientate negli ultimi anni? E’ rilevante scoprire se “c’è o ci fa”? Come fine secondario, si può ammettere un qualche interesse alla cosa; ma si tratta decisamente di una valutazione accessoria. “Oggettivamente”, egli compie delle mosse che appaiono furbe, ma un po’ limitate al “qui ed ora”, al recupero di coscienze ormai guastate dalla decadenza irreversibile della cosiddetta “civiltà occidentale”. Il relativismo che di fatto propone è quello banale di coloro che non vogliono sentirsi colpevolizzati per nessuna delle loro scelte, anche quando mutano opinioni e decisioni nel giro di pochissimo tempo e con tranquilla indifferenza rispetto alle conseguenze del loro agire appena appena oltre l’orizzonte del loro immediato interesse (e “appetito”).

Si tratta in poche parole di un relativismo del tutto individuale, teso al giudizio sul presente o comunque su di un segmento temporale da isolare, con perfetta ignoranza (perdita di memoria) in merito a tutto ciò che lo ha preceduto. E’ ovvio, ad es., che a Scalfari e a tutti gli “antifascisti del tradimento” – a coloro che imposero questa corrente nel corso degli anni ’70 e poi la portarono a piena realizzazione negli ultimi venti – tale impostazione va benissimo: “chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce ‘o passato, simmo ‘e Napule, paisà”. Non va bene a molti altri, fra cui noi, perché vogliamo ricordare e combattere quelli che a noi appaiono quali “rinnegati” e “traditori” per le funzioni “oggettivamente” svolte. Questo è il nostro giudizio. Ma vale quanto quello degli altri, dirà Papa Francesco; certamente rispondiamo noi, solo che per noi i “traditori” e “rinnegati” sono da disprezzare e, se e quando sia appena possibile (politicamente e sensatamente possibile), da spazzare via radicalmente. E loro la pensano allo stesso modo di noi; ci odiano perché sentono il nostro disprezzo, la nostra irriducibilità ai loro disegni infami, e fanno già tutto il possibile per cancellarci.

Predicare il relativismo in modo così ingenuo e superficiale come fa Papa Francesco – ma è vera ingenuità o si vuol adattare alla ormai piatta mentalità dell’epoca? E’ di decisivo interesse soffermarsi su tale problema? A me sembra che no! – non mi sembra mossa di grande respiro. Può servire in un’epoca così superficiale, vuota, senza più punti d’aggancio né forti convinzioni; un’epoca priva di speranze di nuovi e più entusiasmanti approdi. Si procede forse lentamente, ma si avanza verso una nuova epoca di tragedie, di aperture di nuovi scontri. Tutto sembra oggi marciume, pullulare di vermi su carne ormai putrida; eppure si riaprirà il confronto e non sarà possibile cavarsela con “uno crede così, l’altro cosà, c’è posto per tutti, tutti si debbono guardare con amore, comprensione e sopportazione”. Comprensione e sopportazione, mentre taluni massacrano, assassinano, aggrediscono, calpestano i diritti di intere popolazioni, ecc.? Nemmeno per sogno, caro Papa. E anche tu, un domani (e dico tu ancora una volta per indicare una funzione, che sarà magari svolta da un altro individuo) dovrai deciderti a gridare per il “bene” in cui credi, dovrai batterti per le convinzioni profonde che si saranno radicate in te e che sentirai offese da altri.

Perché anche questa è una forma di “relativismo”. Uno avverte – ad un certo punto, cosa non accaduta fino ad allora – che non si può più indietreggiare di fronte alla prepotenza dell’altro; uno non sopporta più che l’autonomia del popolo di cui fa parte sia conculcata da chi – in nome di convinzioni evidentemente non più tanto “relative” – proclama la bontà e giustezza delle sue scelte, da imporre al mondo. D’altra parte, chi si crede nel giusto invocherà, anzi pretenderà, la pace per portare avanti i suoi disegni senza ostacoli; ma assai poco “relativisticamente” sarà sicuro che pace ed armonia regneranno quando tutti si saranno acconciati al suo modo di pensare, quando saranno eliminati o ridotti all’impotenza i recalcitranti.

Forse, l’attuale indigestione papesca di buonismo e “panciafichismo” è questione tattica, serve in un momento che è stato, e probabilmente è ancora in buona parte, di grave crisi della Chiesa. Non sono in grado di emettere un giudizio secco sulla questione. Tuttavia, ritengo che tale atteggiamento non dovrebbe durare troppo a lungo. Intendiamoci bene, non mi metterò qui a sostenere che esistono principi Assoluti, da definire Bene e Male senza alcuna limitazione (spazio-temporale, in definitiva sociale). Credo che ogni principio debba subire adattamenti di più o meno lungo (anche lunghissimo) periodo. Tuttavia, difficilmente si può fare a meno della “predicazione” – che da parte di molti singoli individui viene svolta sinceramente – di “alti valori ideali”, da molti creduti altrettanto sinceramente. “Oggettivamente”, predicazione e valori hanno quasi sempre finalità molto pratiche, spesso consustanziali agli interessi di dati gruppi sociali; finalità che è necessario realizzare se le diverse forme di società (o loro “sezioni” rilevanti) vogliono permanere secondo peculiari strutture (di rapporti) e non declinare e poi scomparire, sommerse da altre società di diversa forma e struttura.

In ogni caso, sia l’intento di conservare determinate forme sociali, sia la volontà di mutarle (gradualmente o “rivoluzionariamente”) – pur non assegnando né alla conservazione né alla trasformazione valore assoluto e quasi trascendente – hanno bisogno della massima tensione e di forti credenze, che non vanno mai conciliate in un assurdo e pantanoso calderone; se si agisce così, salvo che in brevi periodi di transizione, ci si immerge nel processo di piena dissoluzione. Non do quindi un giudizio “assoluto” dell’atteggiamento del Papa, ma certamente non sollecita molto i miei entusiasmi. Mi sembra, come già detto, panciafichista, quindi un po’ adattativo nel senso delle amebe. Il guaio per la Chiesa è che è abbastanza giovane come Papa e potrebbe durare troppo, oltre i limiti di eventuale blanda positività transitoria di certi comportamenti.


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