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Il riarmo della civiltà

Creato il 11 marzo 2012 da Albertocapece

Il riarmo della civiltàForse la domenica che viene dopo la manifestazione della Fiom si ha un po’ di tranquillità per fare due chiacchiere più approfondite su questa Europa del nostro scontento. Dopo la manifestazione, perché è ormai chiaro che l’adesione massiccia dell’arco politico tradizionale alle ricette imposte da Bruxelles e ai loro attuatori, richiede a gran voce la nascita di nuovi soggetti, di una nuova sinistra che non può non ripartire dai temi del lavoro e della giustizia sociale, che deve nascere dalle bandiere al vento e non negli opachi corridoi dove è evaporata un’esperienza e la speranza.

Tuttavia è anche abbastanza chiaro che di una nuova sinistra c’è bisogno anche al centro del continente, in quella Germania che è oggi dominata  da un mediocre cancelliere e da una potente stampa di destra che amplifica i teoremi della Buba, ossia della Bundesbank. Senza un rinnovamento profondo, senza una “resistenza” sugli spalti dei diritti della periferia e senza un ribaltamento dell’ideologia monetaria a Berlino, il continente è destinato al disastro. Non è un caso che proprio su questo tema dopodomani la Cgil e la Friedrich Ebert Stiftung abbiano organizzato una discussione sul ruolo dell’Italia e della Germania in Europa.

Due ruoli chiave, forse anche simbolici che forse meritano una premessa per entrambi i Paesi. L’Italia decise di aderire all’Euro, senza tuttavia darsi il compito e il progetto di adeguare il proprio sistema produttivo, nel tentativo di ridurre attraverso una moneta forte, il debito pubblico che si era accumulato nell’era craxiana, Debito dal quale via via cominciarono ad essere esclusi i ceti popolari e che trovò la sponda “tecnica” di una politica dissennata  nel divorzio della Banca d’Italia dal ministero del Tesoro, cosa fortemente voluta dall’allora governatore Ciampi, da Andreatta a da un consigliori di nome Mario Monti. E’ davvero un amaro e sorprendente contrappasso che oggi  sia egli stesso a gestire un rientro dal debito che contribuì a creare. Sempre però nell’ambito di una politica dissennata, sempre colpendo i ceti popolari, sempre al servizio di qualcuno. Comunque sia quell’adesione a una moneta forte non fu strategica: ci si illuse di poter importare una stabilità alla tedesca, senza tuttavia importarne i criteri e i presupposti.

Al contrario la Germania l’euro non lo voleva, fu il prezzo imposto dalla Francia alla riunificazione del Paese e nelle intenzioni di Mitterand, la moneta unica avrebbe dovuto impedire che la Germania divenisse troppo più forte degli altri partner favorendo una sorta di amalgama delle economie continentali. Così non è andata e anzi una moneta forte, ma meno del marco ha finito per aumentare le distanze, per permettere all’economia tedesca di esportare verso i Paesi emergenti e per regalare a Berlino una spada di Brenno alla quale la politica non si è adeguata e che oggi di fatto è gestita dalla finanza. Tuttavia questa non è la versione tedesca delle cose: secondo l’opinione corrente la migrazione di capitali dal centro verso la periferia avrebbe frenato la crescita tedesca: dunque il soccorso ai Paesi in difficoltà o un semplice riequilibrio viene visto come un colpo agli interessi nazionali. Senza parlare delle paure diffuse ad arte riguardo alla possibile inflazione che vengono distribuite a piene mani dalla stampa di destra, senza nemmeno curarsi della verosimiglianza storica.

Il riarmo della civiltà
Ci troviamo quindi nell’impasse di ricette inique e al tempo stesso recessive, dentro all’incubo di un pensiero unico nel quale si  muove la “banalité meme” di personaggi non all’altezza di un proprio ruolo, di una moneta che non è né carne né pesce , di una assoluta mancanza di una politica continentale e di una straordinaria assenza di solidarietà. Ci troviamo perciò di fronte a una serie di contraddizioni che se non risolte, manderanno all’aria l’Europa e i suoi singoli membri.

Di certo la Germania non può essere accusata di essere divenuta  l’economia di gran lunga più forte dell’Europa e di avere dunque un ruolo egemone. L’accusa che invece le si può rivolgere è – per paradosso – di non saper gestire questo ruolo, di non essere all’altezza politica della sua potenza economica. Le pretese del pareggio di bilancio in costituzione e tutte le altre stravaganti misurazioni economiche del debito a cui assistiamo sono in realtà  i conati di un Paese che rifiuta le responsabilità che di fatto ha acquisito. La Germania si comporta come se fosse il Lussemburgo, un Lussemburgo un po’ cresciuto anche perché il centrodestra tedesco è fermo a Kohl e alla riunificazione, non ha davvero introiettato l’idea di una spazio europeo.

Tutto questo però deriva dall’assenza di una pressione dalla periferia. Non dalla Francia di Sarkozy, anch’essa impastoiata nelle vulgate del pensiero unico e comunque restia a riconoscere un’egemonia altrui con i suoi diritti doveri e dunque divenendone al tempo stesso complice e vittima. Non dalla Gran Bretagna in declino planato e comunque troppo legata agli Usa, non l’Italia che si è consumata in vent’anni di berlusconismo ed è  ormai disposta ad accettare qualsiasi cosa.

Queste sono le ragioni per cui è assolutamente vitale che si ricostruisca ora un’alternativa politica di sinistra che faccia argine alle teste di legno di turco piazzate a Roma  della signora Merkel. Questo e una vittoria socialista in Francia sono le premesse necessarie per un cambiamento politico anche in Germania e dunque per una ricostituzione di un’Europa decente, con una moneta vera, con una vera banca centrale con le premesse per una reale armonizzazione delle economie continentali che eviri il disastro per tutti. Che la capitale di questa Europa sia Berlino poco importa: ciò che importa è che sia una capitale di civiltà e di diritti. Non l’oscura centrale della loro negazione, fabbricata su ordinazione nelle piccole capitali.


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