Il 54% degli operai dello stabilimento torinese di Mirafiori si è espresso a favore del nuovo piano industriale elaborato dall’ azienda Fiat nella persona di Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo. Non ci sarebbe nulla da commentare in apparenza. Si è votato. Si è scelto. Tutto finito. In realtà, ciò che si è andato a disegnare in questi giorni è che il cosiddetto referendum ha tutto il sapore di una truffa. Una truffa perpetuata a danno degli operai, dell’ opinione pubblica, del paese. Gli operai non hanno scelto tra la possibilità di un rilancio industriale e la chiusura dello stabilimento di Mirafiori. Al contrario tra il loro posto di lavoro e il nulla. I loro sì sono stati estorti con il più infamante dei ricatti:o lavori o vai a casa. Cosa c’ è di democratico in questo? Quale prospettiva può avere un gruppo storico come la fiat con tali presupposti? Non esistono progetti nè idee di rilancio. Fatta eccezione del modello fabbrica-caserma voluto da Marchionne. Da questa situazione esce con le ossa rotta, soprattutto, il concetto di lavoro. Il modello Marchionne rappresenta, infatti, una forma di adeguamento alla dequalificazione della manodopera e della produzione che ha investito i nostri mercati e l’ occidente tutto a partire dall’ estremo oriente ( Cina, India su tutte). In questo caso la parola rilancio è sinonimo di precarietà, di violazione di diritti, di miopia industriale. Insomma, il referendum al quale hanno preso parte gli operai di Mirafiori, abbandonando ogni utopistica forma di rilancio o di ripresa, si presenta come un “ricatto” sulla falsa riga di un vecchio capitalismo che, in alcune esponenti fiat, si fa ancora fatica ad abbandonare.
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