Scrivo ancora di Val Susa, non riesco a non pensarci, in questo momento dovremmo pensarci tutti, darci da fare per risolvere questa situazione, per dare un senso a quel che rimane della nostra democrazia, per la giustizia, per l’ambiente, per i diritti, per la convivenza civile e la solidarietà.
Forse la cosa che più mi rattrista, oltre alla disinformazione dei giornali che in un certo senso sono pagati per occultare la realtà (guarda caso dei più grossi solo Il Fatto Quotidiano e Il Manifesto si salvano, e sono giornali indipendenti, senza padroni), è il fatto che esista ancora una parte consistente, forse maggioritaria, non lo so, della popolazione italiana, che non capisce le ragioni dei no tav. Da un lato perché crede ancora alla propaganda per la tav, perché è ancora disposta a reprimere nel sangue (letteralmente!) una protesta, a pagare coi propri soldi un treno che non prenderà mai, per motivi quali ‘progresso’, ‘Europa’, ‘strategico’ – cioè parole vuote, slegate da una base di fatti e progetti concreti, puri slogan. Come essere ‘per la vita’, ‘per la libertà’: chi non lo è? Poi invece dietro a queste belle parole bisogna vedere cosa si nasconde. Idem per la TAV: paroloni che galleggiano in aria, non ancorati a nulla su cui ci si possa confrontare razionalmente. Da un lato: no perché la tav costa miliardi, no perché i lavori inquineranno, no perché il paesaggio sarà rovinato, dall’altro lato: sì alla tav perché è già deciso (allora l’Italia quella volta doveva restare con la Germania), perchè è il progresso (che non può mai fermarsi? progresso di cosa verso dove?), e: perchè se no siamo fuori dall’Europa. Cioè? Ci staccano? Ci segano via? Non possiamo più viaggiare? Certo che potremo. Lione è ancora lì, ben collegata già adesso. Di cos’abbiamo paura? Che ci sbattano fuori dall’Europa? In quel caso, indebitarsi ancora mi sembra un’ottima strategia. Insomma: sì alla tav perché sì. Fine. I veri motivi, in fondo, non si possono dire in pubblico. Sono interessi economici evidenti e inconfessabili, bisogna far credere alla gente qualcos’altro.
L’altro motivo per cui c’è tanta ostilità contro i no tav è che in questo paese ci si può lamentare, ma non si può protestare. Al massimo, fai il tuo bel corteo, che non si fila nessuno anche se ha decine di migliaia di persone, e dopo aver constatato che serve a poco e niente, lo rifai uguale. Non provi nient’altro. Sfili e torni a casa, sfili e torni a casa. Se blocchi una strada, se rischi la vita, se alzi la voce, allora le prendi e ti sta bene. C’è tanta gente che dice questo pubblicamente: che ti sta bene.
Ho letto delle cose su internet, delle cattiverie contro i manifestanti, che mi facevano pensare a un ritorno di fascismo (che strano… non se n’è mai andato da questo paese). Il popolo fascista è un popolo aggressivo e obbediente, un popolo che schiaccia il ribelle ed esulta vedendo il suo sangue sotto lo scarpone. Esagero? Temo di no.
Ogni atto violento o persino verbalmente offensivo dei no tav viene condannato e sviscerato, rimbomba su tutti i media e provoca un coro di condanne e una ola di teste che si scuotono indignate, e intanto la gente della valle va in ospedale con le ossa rotte dai manganelli, respira lacrimogeni tossici, viene attaccata a freddo mentre torna a casa in treno, arrestata perché non protesti più, e nessun giornalista a chiedere ai poliziotti, ai magistrati, con il microfono o la voce che gli trema dalla rabbia: ‘perché lo hai fatto??’ Il poliziotto mena, il giudice mette in galera, niente di strano, ma il manifestante può solo alzare la mano e dire: non sono d’accordo. Se va oltre, deve rendere conto.
La storia del carabiniere ‘offeso’ sarebbe stata ridicola se non fosse stata infuriante e nauseante: ci è toccato sentirne parlare fino a no poterne più, sorbirci la retorica sul servitore dello stato figlio di operai, vedere persino il manifestante intervistato e interrogato e, in un momento che io ho trovato commovente, quando ha detto che il suo mito è Peppino Impastato, sentire il giornalista che lo rimprovera come un professore all’alunno che la spara troppo grossa, ricordandogli: ‘bè, Peppino Impastato lottava contro la mafia, non contro un servitore dello stato!’ Ma lo sa, il professore, che la Tav la faranno ditte in odore di ‘ndrangheta, che in Piemonte i calabresi, e non quelli onesti, spostano i voti e fanno vincere i candidati che li ricambiano con appalti? Se non lo sa si informi prima di sentenziare dall’alto della sua moralità. Ci sono ottime inchieste, si legga Narcomafie, o le accuse del giudice Imposimato e del giornalista Provvisionato.
E questi servitori dello stato con cui tutti solidarizzano, che menano la gente, e che sono pagati per farlo mentre chi manifesta lo fa a proprio rischio, spesa e pericolo, adesso non li si può nemmeno prendere in giro? Neanche affettuosamente, come alla fine aveva fato il famoso no tav, nella parte che le telecamere non hanno ripreso? Ormai la polizia e in generale le forze dell’ordine sono sempre più contro i cittadini e sempre meno per loro, sono sempre più i rottweiler del potere, il volto (coperto) della democrazia che si va disintegrando. Esagero? Per anni ho voluto credere che non fosse così, finché una massa di evidenza ha schiacciato il mio idealismo.
Mi tocca pure leggere di un Vendola ‘inorridito’ e ‘senza fiato’ non per la gente massacrata di botte, ma le ‘offese’ al carabiniere (ancora!) e per i violenti che, siamo alle solite, ‘strangolano’ le buone ragioni del movimento. Mi tocca leggere che le donne della Val Susa hanno perso perché non sono più tenere e timide, ma battagliere e agguerrite. Poveri noi. Donne: a casa! coi bambini! ai fornelli!
Il movimento però, nonostante i ripetuti inviti che piovono da tutte le parti, non prende le distanze, non isola proprio nessuno, anzi manifesta la sua solidarietà a tutti, agli arrestati, ai picchiati, agli sputtanati sui media, a tutti. Come ha spiegato Luca Abbà prima del suo incidente, gli anarchici, gli antagonisti, non controllano il movimento, ma hanno il loro ruolo. Come i cattolici, come i vecchi ex partigiani, come le signore, come i rappresentanti eletti dei paesi, come gli italiani nelle altre città, ognuno fa la sua parte. Non ci sono tanti momenti nella storia italiana in cui forze così diverse si uniscono e, pur nelle divergenze su certe questioni, si sostengono e collaborano per un obbiettivo comune, cercando di tenere il miglior comportamento possibile, sottoposti allo scrutinio costante mentre alla controparte è permesso tutto. Me ne viene in mente uno, di questi momenti, era circa settant’anni fa, e gli italiani forse avevano capito qualcosa che ora hanno dimenticato.
Magazine Diario personale
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