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Il rischio della comunicazione del rischio

Creato il 05 novembre 2012 da Fisiciaroundtheworld

Lo scorso Lunedi 22 Ottobre fa la commissione Grandi Rischi è stata condannata a 6 anni di carcere (in primo grado) per aver dato informazioni “imprecise, incomplete e contraddittorie” sulla pericolosità dell’attività sismica precedente al terremoto dell’Aquila del 6 Aprile 2009. Una notizia incredibile, soprattutto dopo aver letto il verbale della riunione, dal quale emerge che i sismologi, in quella occasione, sono stati precisi, completi e coerenti. Ne ha già scritto con la solita chiarezza Marco Cattaneo sul suo blog.

Sotto accusa, però (pare di capire), non è la scienza, ma la comunicazione del rischio da parte degli scienziati, che davanti alle telecamere hanno dato l’impressione di minimizzare il pericolo.

La comunicazione di rischio da parte della scienza è tema scivoloso e delicato, che la condanna incomprensibile dei giudici ha reso ancora più difficile. Perché difficile, l’ho capito personalmente in questi giorni dovendo rispondere ad una serie di email da parte di persone che hanno partecipato ad un campagna di misura di radon all’interno delle proprie abitazioni.

Prima di essere conosciuto impropriamente come quel gas che permette a Giuliani (e solo a lui) di prevedere i terremoti, il radon è un problema sanitario per via del fatto che l’esposizione a questo gas aumenta il rischio di contrarre un tumore polmonare. Dopo aver effettuato le misure, abbiamo spedito a tutti i partecipanti il risultato della concentrazione di radon nella propria abitazione, allegando una breve lettera in cui si evidenziava:

  • che in Italia non esiste (ancora) una normativa per il radon nelle abitazioni, ma che organismi internazionali raccomandano un livello di riferimento di radon, al di sopra del quale effettuare azioni di risanamento per ridurre la concentrazione di questo gas;
  • che la scelta di questo livello di basa su un bilanciamento dei rischi associati al radon con la fattibilità degli interventi di risanamento, visto che studi recenti hanno dimostrato che il rischio è proporzionale all’esposizione al radon, e NON hanno evidenziato un livello di esposizione al di sotto del quale il rischio si annulli.

Quando ci viene chiesto di semplificare la comunicazione, perché non risulta comprensibile, a volte si corre il rischio di dare un messaggio che venga interpretato un maniera sbagliata. Per esempio, nella seguente conversazione.

Domanda: Nella mia casa c’è una concentrazione di 40 Bq/m3 (N.B. ben al di sotto del livello di riferimento raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), posso stare tranquillo?

Risposta: Ecco, possiamo dirle che il rischio associato all’esposizione al radon è molto basso, soprattutto se non fuma, visto che c’è un effetto sinergico tra radon e fumo.

Constatazione finale del richiedente: Io non fumo. Quindi non corro alcun rischio.

Sembra difficile, in alcuni casi, far capire che il rischio associato ad una causa non è concetto binario (per molti il rischio o c’è o non c’è), ma che esiste una serie infinita di valori con cui possiamo identificarlo, per non parlare delle incertezze associate a queste stime…

Il fatto che il rischio sia molto vicino allo zero, non vuol dire che sia zero. Quindi, la possibilità che una persona esposta a basse concentrazioni di radon possa contrarre un tumore non è zero. O, meglio, potrebbe non essere zero secondo le ultime evidenze scientifiche.

La domanda finale che mi pongo è questa.

Se, facendo i dovuti scongiuri, una di queste persone dovesse contrarre un tumore al polmone, avrebbe il diritto di citarmi in giudizio perché gli ho consigliato di non effettuare azioni di risanamento nella sua abitazione? E, soprattutto, potrei essere condannato?

L’Italia è diventato un paese che fa paura, per le ragioni descritte molto bene da Silvia Bencivelli.



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