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Il Rispetto (Reigi to saho)

Da Stefano Bresciani @senseistefano
Data: 12 maggio 2015  Autore: Sandro Savoldelli reigi-to-saho

Mi permetto di approfondire in poche righe un principio che ogni praticante di discipline orientali dovrebbe autonomamente sviluppare nel proprio IO interiore e fare coincidere ciò che vorrebbe essere, con ciò che è: un vero “praticante rispettoso“.

REIGI TO SAHO si esprime in questi significati:

REI = apprezzamento, ringraziamento

GI = norma, cerimoniale, educazione

SAHO = etichetta formale, comportamento

Il concetto di “Rei” nasce dal termine “Keirai” (saluto, inchino) ed è fondamentale in tutte le arti di Bu-do.

La parola REI-GI, riunisce in sé i concetti di educazione, cortesia, rispetto reciproco, gratitudine verso il Maestro ed i propri partner, il rispetto di questi concetti è comune a tutte le Arti Marziali e, in conseguenza, alla vita di relazione umana così come per quella Kohai-Sensei. REI-GI è dunque l’espressione del mutuo rispetto all’interno della società ed è anche il mezzo per prendere coscienza della propria posizione in mezzo ai nostri simili. REI è espressione della cortesia, del rispetto e della sincerità.

Nel Budo c’è una gerarchia naturale dettata dal sapere, dalla maturità ed è quella che distingue il Maestro dai discepoli, i Sempai dai Kohai. Nel Dojo il rispetto verso il Sempai non deve essere provocato ma il Kohai deve provare naturalmente rispetto e riconoscenza verso il Sempai che lo aiuta a progredire. Lo spirito di gratitudine, di riconoscenza e di rispetto si manifesta quando si osserva un’etichetta o formalità e quando questa è percepita in modo naturale. Questo comportamento, per essere spontaneo, deve venire dal cuore altrimenti la formalità sarà solo apparenza e falsità.

Nel Budo, come nella vita, le nostre azioni devono essere guidate da un cuore puro, nobile e generoso.

Esistono vari tipi di saluto insiti nel concetto di Rispetto, in generale si dividono fra: in piedi (Ritsu-rei) e saluto da seduti (Za-rei).

Secondo lo scopo cui serve il saluto o le scuole che hanno rituali specifici, esistono le seguenti formule universalmente utilizzate:

1. SHOMEN NI REI Inchino al lato anteriore del Dojo

2. SENSEI NI REI Inchino al Maestro

3. SHIHAN NI REI Inchino al Maestro Superiore responsabile

4. OTAGAI NI REI Inchino l’uno all’altro tra allievi

5. SEMPAI NI REI Inchino al Senior (il più anziano)

Il saluto tradizionale del Budo si fonda sul rispetto nei confronti degli antenati (Yamato-damashi) e agli dei (Kami). Il guerriero che s’inchina davanti a Kamiza (altare) si esercita nel rispettare qualsiasi forza fosse sopra di sé. La medesima importanza ha il saluto all’inizio e alla fine della lezione o di ogni Kata. Questa sottomissione è importante per lo spirito del Budo. Essa sviluppa l’umiltà nell’atteggiamento generale nei confronti della vita, è il primo passo sulla Via della spiritualità del Budo: la prima lotta che bisogna vincere è quella contro se stessi. Perciò bisogna sempre inchinarsi quando si entra nel Dojo o si esce da esso. Bisogna lasciare il proprio Io fuori dalla porta.

Ciò che s’impara in un Dojo aiuta ad affrontare il quotidiano. La parola è nel mondo uno strumento d’intesa reciproca. Nel Dojo però bisogna farne a meno, si comunica con l’atteggiamento. In un silenzio di concentrazione l’insegnante comunica il suo sapere, il buon allievo accetta questo con un inchino. Egli cerca di capire attraverso il comportamento, il suo spirito deve essere silenzioso e restare concentrato. Il totale silenzio permette una comprensione che supera quella dell’intelletto.

Esso trasforma lo spirito, il comportamento, la capacità di percezione e la concentrazione. Esso supera la frenesia, lo stress, le incessanti attività e rende gli uomini calmi, aperti alle sensazioni e alle esperienze. Questo spirito sta in ogni uomo e può essere risvegliato con la conoscenza.

Il saluto è un buon mezzo per questo fine. Un esempio indispensabile nelle arti marziali è il “Mokuso” *, la meditazione taciturna che ha luogo all’inizio e alla fine di ogni ora di lezione.

Dopo che tutti i praticanti si sono messi in fila, l’insegnante comanda Seiza e tutti si pongono in meditazione silenziosa. È importantissimo che la meditazione duri finché gli allievi raggiungono un’armonica respirazione. La meditazione all’inizio e alla fine di ogni ora di lezione è un fattore importante nel progresso dei praticanti sulla Via.

Nel Dojo bisogna trovare il proprio silenzio interiore e se dovesse smettere di esistere, riflettere sul Perché e anche sul Come ripristinare lo stato di grazia.

Quando pensieri privati si mescolano con l’esercizio, disturbano l’atteggiamento interiore, il Dojo è un luogo di auto-perfezionamento. La lotta più importante che ha luogo dentro di noi è quella che ognuno ha contro il proprio sè. Solo allora un allievo può capire quale sia la Via del Budo.

Un Maestro giapponese che fu interrogato sulla differenza tra le lezioni nel proprio Paese e quelle europee, rispose: «Quando dico a un allievo giapponese “Fa questo”, lui lo fa.  Se io dico la stessa cosa a un europeo, egli mi risponde “Perché?”».

Nota: Il concetto di Mokuso deriva da «Mokusho-Zen», che significa letteralmente «lo zen dell’illuminazione silenziosa». L’espressione fu plasmata dal Maestro di Zen cinese Hung-chih Cheng-chueh (giapponese: Wanshi Shogaku) per dividere il modo, preferito dalla scuola Soto, della prassi meditativa dello «Zen della considerazione delle parole» (Kama-Zen) che viene esercitato nella scuola Rinzai. Nel Mokusho-Zen non c’è nessun aiuto ma solo lo stare seduti silenziosamente.

Impossessati di un vero apprendimento e condurrai una vita felice.

Stai attento a essere istruito il meno possibile.

Se ti siedi, allora capirai tutto da solo.

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