Sono l’erede di una tradizione sarda abbastanza antica che ormai si sta perdendo.
Ho scelto di esserne l’erede.
Non sono stata obbligata, né dal rito né dalla mia famiglia.
Ci sono cose che si tramandano perché così deve essere e cose che si tramandano perché in fondo ci appartengono e ci sono sempre appartenute.
E sempre ci apparterranno.
Mia bisnonna Angela guariva dal malocchio.
Lei non era originaria del mio paese, Gonnostramatza, ma tutti la conoscevano bene, Angiulledda Scundida, così la chiamavano. La chiamavano così perché era una donna forte, senza regole, che sapeva farsi rispettare e che faceva un po’ di paura ai bambini del vicinato.
Quando era in vena di scherzi, nascondeva nel suo grembiule una rana o una serpe e all’improvviso la mostrava ai bambini che fuggivano divertiti e spaventati.
Quando non era in vena di allegrie, però, mia bisnonna bucava il pallone ai bambini del vicolo. Angiulledda era fatta così, niente mezze misure. Non era amata da tutti, non ho dubbi, ma quando c’era bisogno di lei, mia bisnonna correva sempre. Ad ogni ora del giorno e della notte.
“Oi tiarrori! Sa pippia stai mabi! D’anti liau ogu. Currei currei!!! Currei a zerriai Angiuledda Scundida!!!”
E Angiulledda Scundida andava, con la sua medaglia e il suo grano. Voleva sempre vedere “l’ammalato” e toccarlo, specie se non lo conosceva bene. Dopo di che, chiedeva un po’ d’acqua, in un bicchiere e si metteva in disparte, si ritirava dove non poteva essere vista e iniziava il suo rito.
Il rito de s’acqua ‘e medalla
Angiulledda Scundida guariva dal malocchio. Quella sagoma scura che immagino uscire da quel vicolo spedita, diretta verso chissà quale casa del suo paese che ora è il mio, con il bambino che le era stato inviato in qualità di messaggero che le correva dietro, incapace di tenere il suo passo.
E’ così, che me la immagino. Cun su davantalli blu scuro, il fazzoletto in testa e la medaglia stretta nel pugno.
E ora io mi ritrovo in mano quella stessa medaglia.
Mi ritrovo erede di questa tradizione. I tempi sono cambiati, non c’è dubbio.
E forse non sarò all’altezza della mia ava. E forse non ci sarà così bisogno di me come allora. Ma questo non m’importa.
Menina
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