Magazine Cultura

Il ritorno di margite 3

Creato il 04 gennaio 2014 da Marvigar4

il ritorno di margite

Marco Vignolo Gargini

IL RITORNO DI MARGITE

RACCONTO

“Giunse a Colofone un vecchio e divino cantore,
servitore delle Muse e del lungisaettante Apollo,
tenendo nelle mani la lira dal dolce suono.
Sapeva molte cose, ma le sapeva tutte male.
Né zappatore, né aratore gli dèi lo fecero,
né in altra cosa sapiente; ma in ogni arte falliva.”
Margite, Pseudo-Omero o Pigrete di Alicarnasso

III

Margite con la sua forza trattenuta da secoli una cosa l’aveva comunque ottenuta: adesso l’industriale era diventato più dolce, come le caramelle che produceva, merito del grande spavento che aveva preso. Agostino non fu licenziato, il Professor Venosti ebbe a disposizione una discreta somma di euro da utilizzare per lo studio della creatura scoperta sulle Alpi e per la pubblicità dell’evento.

Ma siamo sicuri che l’effetto benevolo di questa paura sarebbe durato a lungo?

Margite, dopo la crisi che abbiamo visto, si rimise nella cassa e schiacciò un pisolino di poche ore. Al risveglio era tranquillissimo e iniziò a fraternizzare con Agostino, un po’ meno con il Professore. Il problema della comunicazione fu risolto grazie ad una minuscola apparecchiatura che venne applicata addosso a Margite, un traduttore simultaneo che convertiva qualsiasi emissione vocale in una lingua comprensibile a tutti. Bastava che Margite aprisse bocca e subito la macchinetta decifrava le sue espressioni in greco antico trasformandole in parole e frasi italiane. Cominciarono i primi dialoghi.

«Il mio nome è Agostino Vanatis, il suo è Alirio Venosti … E tu ti chiami Margite?»

«Sì, tutti mi chiamavano in questo modo, però a me non piaceva tanto.»

«Perché?»

«Perché “margòs” vuol dire “stupido”… Io non sono stupido, io sono un grande oracolo!»

«Davvero? Sei un indovino…»

«Certo. Io indovino tutto.»

«E, dimmi un po’, quella lira e quell’alloro che abbiamo trovato erano tuoi?»

«Sono le uniche cose che posseggo insieme a questo vestito… A proposito, io ho un freddo cane quaggiù… Eeetchì

«Salute!»

«Grazie. Non è che avete qualcosa di più pesante per me? Non vorrei prendermi una polmonite…»

«Prendi pure quest’abito, è di lana e dovrebbe tenerti caldo.»

«Ma… È brutto! Che vuol dire un abito tagliato a metà? Io sono intero, mica segato in due pezzi!»

«Da noi si usa indossare questa parte, che chiamiamo pantaloni, per coprire le gambe dalle caviglie fino al bacino; l’altra parte copre il resto del corpo, le braccia, il petto, la pancia, e la chiamiamo maglione. Avanti mettiteli, ti sentirai subito meglio.»

«Questo tubo dove va?»

«È una gamba del pantalone. Aspetta che ti do una mano.»

Margite, aiutato da Agostino e dal Professore, si vestì completamente, calzò le scarpe, s’infilò i pantaloni e la maglia grossa di lana. Gli portarono uno specchio perché potesse ammirarsi in questa sua nuova tenuta. La prese bene, non si spaventò.

«Ti va ancora di chiacchierare?»

«Sì, sì, è il mio mestiere. Io non ho fatto altro nella mia vita. Piuttosto, ditemi, quel vecchio è stato arrestato?»

«Ah, il commendatore!»

«Il commenda che?»

«È un titolo onorifico che gli è stato dato per il suo lavoro…»

«Ma lui mi ha rinchiuso qua dentro, lo riconosco!»

«No, non è stato lui, non può essere stato lui.»

«Siamo sicuri? L’ultima cosa che ho visto prima di entrare là dentro era un vecchio dallo sguardo cattivo che mi diceva cose terribili in una lingua barbara, proprio come quella che usa il commerdatore…»

«Commendatore, si dice commendatore!» corresse Agostino ridacchiando.

«Non importa… Io so solo che avevo appena finito di mangiare della roba pesantissima che mi ha fatto venire un gran sonno e così mi sono sdraiato… quel vecchio continuava a parlare, parlare, parlare…»

«Comunque, non è stato lui a rinchiuderti nella cassa, puoi crederci sulla parola. Anzi, è grazie al commendatore che adesso ti sei liberato.»

«Davvero?»

«Sì, è così. Adesso, dimmi quando sei nato?»

«Mi hanno sempre detto che sono venuto al mondo un anno dopo l’undicesima Olimpiade.»

«Professore, lei che è più bravo di me in matematica, che anno sarebbe quello dell’undicesima Olimpiade?»

«La prima Olimpiade che servì a calcolare il tempo fu tenuta nel 776 a.C., quindi… lui dovrebbe essere nato intorno al 731 a.C., se ho fatto bene i conti.»

«Accidenti, Margite, lo sai che hai più di 2700 anni?»

«Non mi prendere in giro! Nessuno campa tanto. Io al massimo posso avere sessant’anni.»

«Però hai dormito per oltre ventisette secoli.»

«Agostino, sei un gran mattacchione… Va bene che ho il sonno pesante, ma dormire addirittura ventisette secoli!»

«Signor Margite, non faccia caso al mio assistente. Piuttosto, torniamo a noi, alla nostra conversazione. Abbiamo saputo quando lei è nato, adesso vorremmo sapere dove è nato.»

«Io vengo da un villaggio vicino a Colofone!»

«Ah, un bellissimo posto, patria anche del filosofo Senofane…»

«Non so chi sia costui…»

«Colofone era quella città in Ionia, in Asia minore, non è vero Professore?»

«Esattamente. Una città importante all’epoca.»

«Lo è ancora.»

«Signor Margite, dopo, semmai, le spiego una cosa… riguarda la sua città, il suo tempo… Dopo, dopo. Ora mi dica in che consisteva il suo lavoro e a cosa servivano la lira e l’alloro che ha portato con lei.»

«Le ho già detto che io sono un oracolo, o meglio, un divino cantore, ispirato dalle Muse e da Apollo. Con la lira eseguo delle melodie bellissime che accompagno con l’amoroso suono della mia voce. Sapete, quando cantavo tutti erano contenti, da tanto che erano contenti non facevano altro che ridere.»

«Vuol dire che riusciva a trasmettere il buon umore. Può farci sentire un suo pezzo?»

«Volentieri.»

Margite prese in mano la lira e cominciò a strimpellare. Una musica così brutta, così stonata non l’aveva mai ascoltata nessuno. E non parliamo della voce: sembrava quella di un papero. Il Professore e Agostino, come accadeva ventisette secoli prima, scoppiarono anche loro a ridere, a ridere fino alle lacrime. Non riuscivano a fermarsi più. Margite, visibilmente soddisfatto, terminò il suo brano e si rivolse ai due, sdraiati per terra dalle risate.

«Avete visto? Questa armonia celestiale unita al mio bel canto rende gli uomini felici, fa dimenticare il dolore, la tristezza. Ma bisogna andarci piano con quest’arte! È vero, io ho il potere di alleviare le sofferenze, di mettere allegria, però non devo esagerare, altrimenti ottengo dei risultati orribili.»

Agostino, di nuovo in sé, si incuriosì a sentire le ultime parole di Margite e volle una spiegazione.

«Mi capitò, una volta che ero a Efeso, una città a sud di Colofone, di insistere con il mio canto… Sta di fatto che la grande gioia dei miei ascoltatori si tramutò in disperazione. Vidi con i miei occhi le persone che si tappavano le orecchie con le mani e gridavano “Basta! Basta!”. Ci fu uno che perse la calma e mi dette un pugno in faccia. Dovrei avere ancora la cicatrice. Io scappai, anche perché molti mi volevano linciare… Da quel giorno io ho capito che il dono degli dèi è di una potenza micidiale, va usato con estrema cautela. Gli uomini non ce la fanno a udire per troppo tempo la musica divina, eh, lo dice la parola stessa, è “divina”, cioè composta dagli dèi per gli dèi, e gli uomini la possono soltanto assaggiare un pochino.»

«Caro signor Margite, purtroppo noi umani non sappiamo apprezzare quest’arte…», il Professore non finì la frase e scoppiò nuovamente a ridere.

«Mi fa piacere che l’effetto della felicità da me procurata abbia una durata così lunga. Sono orgoglioso, e ringrazio le Muse e Apollo.»

«Li ringrazio anch’io, ha, ha, ha, ha, ha!».



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine