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Il ritorno di margite 5

Creato il 08 gennaio 2014 da Marvigar4

il ritorno di margite

Marco Vignolo Gargini

IL RITORNO DI MARGITE

RACCONTO

“Giunse a Colofone un vecchio e divino cantore,
servitore delle Muse e del lungisaettante Apollo,
tenendo nelle mani la lira dal dolce suono.
Sapeva molte cose, ma le sapeva tutte male.
Né zappatore, né aratore gli dèi lo fecero,
né in altra cosa sapiente; ma in ogni arte falliva.”
Margite, Pseudo-Omero o Pigrete di Alicarnasso

V

Agostino si era ormai preso l’ingrato compito di istruire Margite, di avvisarlo che la realtà fuori dal capannone non sarebbe stata per lui, il greco antico, quella del suo tempo. Una bella impresa, non c’è che dire, ma d’altronde nessuno se non Agostino aveva la pazienza, la voglia e la capacità di comunicare una serie di informazioni sconvolgenti per il povero uomo venuto dal passato. Nelle loro lunghe conversazioni amichevoli Agostino e Margite affrontavano mille argomenti, si scambiavano impressioni e curiosità, cercavano di trasmettersi l’un l’altro tutte le conoscenze sul proprio periodo storico. Il dialogo era piacevole e, dopo molti accenni, la verità venne a galla… Il terreno era stato preparato molto bene: quando giunse il momento decisivo di annunciare che erano trascorsi ventisette secoli Agostino fu delicatissimo e convincente.

Margite rispose positivamente alla notizia del suo lunghissimo sonno, del suo risveglio. Non si turbò poi tanto. Si convinse che questo viaggio nel tempo era l’effetto della sua arte, dell’intervento divino delle Muse e di Apollo. Agostino non fece niente per deludere Margite, aveva paura di combinare un pasticcio, così accettò un compromesso, che in fondo era una bugia: la convinzione di Margite d’essere stato trasportato d’incanto in un’altra epoca, con la possibilità di tornare indietro per riferire ai suoi concittadini quale sarebbe stato il futuro dell’umanità.

«Tu, Agostino, mi dovrai aiutare. Se non porto con me delle cose che vi appartengono non potrò essere creduto.»

«Ti crederanno, ti crederanno.»

«Fosse vero… Gli uomini si possono convincere, a patto che tocchino con la propria mano…»

«No. Tu saprai dimostrare a parole ciò che hai visto.»

«Ti voglio rivelare un segreto, Agostino. Io sono scappato dalla mia terra perché non mi era più permesso svolgere il mio lavoro. Sono stato condannato a tacere. Le cose che dicevo non facevano piacere, il mio canto irritava la gente. Allora, ho preso la lira e l’alloro e me ne sono andato. Dalla Ionia verso altri luoghi. Ho navigato giorni e giorni, ho visitato le isole, sbarcai in Laconia, mi recai a Sparta, ma non ebbi successo. Me ne dicevano di tutti i colori, mi prendevano a sassate. Lasciai Sparta e decisi di andare ad Atene. Anche lì fu uno strazio. Mi chiamavano “scemo”, “cantante da strapazzo”… gli ateniesi, a esser sinceri, erano più carini, non mi bastonavano come gli spartani. Però dovetti fuggire lo stesso. Caro Agostino, queste mie gambe hanno camminato mesi, anni, e io sono invecchiato a forza di camminare. Ogni volta che aprivo bocca succedeva un macello, dappertutto. Una sera incontrai una persona che mi fermò e mi disse: “Vai a nord, sempre a nord, dove il freddo calma gli animi. Qui c’è troppo sole, troppo caldo, e il caldo fa brutti scherzi alla testa. Al nord invece è un’altra cosa. Sono più tolleranti.” Io domandai a questa persona se sapeva quale fosse il luogo adatto per me in quei paesi lontani del nord. Mi rispose: “Quando vedrai delle montagne altissime, innevate, fermati e chiedi ospitalità.” Mi misi di nuovo in cammino, ma le montagne che trovavo non andavano mai bene. Gli abitanti del posto all’inizio mi accoglievano con tutti gli onori e poi… botte! Dovevo scappare di nuovo. A nord, a nord! Alla fine stanchissimo, quasi morto dal freddo, capitai in un villaggio… I montanari parlavano una lingua aspra, però erano gentili. Il capo del villaggio, che sembrava il commenda in persona, mi scambiò per una divinità scesa dal cielo in sembianze umane. Lo so perché, nonostante non ci capissimo, lui si inginocchiava davanti a me e faceva inginocchiare tutti. A casa sua, dov’ero suo ospite, mi faceva dormire in una cassa di legno… Ma io avevo capito che quell’uomo era malvagio e mi trattava bene solo perché aveva paura. Poi, un giorno, i miei sospetti si rivelarono esatti… avevo appena finito di comporre un brano in onore di Asclepio, dio della medicina e figlio di Apollo… Era un inno davvero ispirato, la mia voce sgorgava improvvisa e si fondeva con il suono delizioso della lira… Il capo del villaggio all’inizio rideva, come tutti, in seguito però si trasformò, tremava tutto, aveva le convulsioni, gridava non so quali parole… Quella sera, non la dimenticherò mai, il capo era tornato calmo e si mostrò molto gentile, troppo gentile… mi offriva in continuazione il suo vino, una vera schifezza, voleva che mangiassi della carne insaporita con non so quali erbe… Intorno a me c’erano quasi tutti gli abitanti del villaggio, mi fissavano e poi si rivolgevano al loro capo che annuiva… Iniziai a sentire un torpore diffuso in tutto il corpo, una gran voglia di riposare, credevo fosse l’effetto del cibo e di quel vino orribile… il capo del villaggio appena vide che mi si chiudevano gli occhi si alzò di scatto e mi accompagnò al mio giaciglio, la cassa di legno… l’ultima immagine che ricordo è il volto ghignante di quel vecchio mentre blaterava parole orrende… Non so quante notti ho dormito, ma so che un giorno mi sono svegliato e ho visto voi. Ventisette secoli dopo.»

Margite proseguì nel suo discorso, si mise a spiegare a Agostino quali furono le prime sensazioni dopo il risveglio, la sorpresa che provò nel vedere un numero incredibile di gente vestita con abiti bizzarri, alcuni piuttosto inquietanti, e lo stupore nell’ascoltare la lingua di questi personaggi, una lingua meno aspra rispetto a quella dei montanari che lo avevano ospitato, ma ugualmente a lui sconosciuta. Poi la visione dell’industriale, che gli ricordava il capo del villaggio delle Alpi, con la sua voce sgradevole, il suo aspetto tronfio, il suo atteggiamento antipatico. Fu grazie all’industriale che Margite si rese conto di non essere circondato da dèi, ma da esseri umani un po’ strani.

Agostino, con estrema cautela, soppesando ogni parola, fece un riassunto a Margite degli avvenimenti principali che si erano susseguiti dal VII° secolo a.C. fino a oggi.

L’uomo venuto dall’antichità si appassionò di fronte alle gesta narrate da Agostino di Alessandro Magno, di Giulio Cesare, di Attila, di Napoleone, si commosse fino alle lacrime quando sentì parlare di Socrate, di Gesù, di Gandhi, non voleva credere che ci fossero delle terre al di là delle Colonne di Ercole e che due guerre mondiali si erano combattute… ma la cosa che lo fece rimanere letteralmente di stucco fu apprendere che il 21 luglio 1969 una navicella spaziale era scesa sulla Luna e Neil Armstrong per primo, seguito da Edwin Aldrin, avevano fatto una passeggiata sul suolo lunare.

«Camminare sulla Luna! Se non fossi tu a raccontarmelo io non ci crederei. E, dimmi Agostino, sul Sole ci siete ancora andati?»

«No, purtroppo. Laggiù, per il momento, non possiamo andarci…»

«Se siete stati sulla Luna potete benissimo camminare sul Sole. Sono così vicini!»

«Sembrano così vicini, in realtà c’è una bella distanza. E poi se scendessimo sul Sole moriremo subito carbonizzati.»

«C’è il fuoco lì, no?»

«Un fuoco molto acceso…»

Agostino non si dimenticò certo di illustrare a Margite anche le scoperte dell’uomo, i progressi scientifici, le meraviglie della tecnica e dell’arte che in tanti secoli avevano rivoluzionato la vita di ognuno. Margite si stupiva, esultava alla descrizione delle splendide creazioni nei più svariati campi, osservava rapito le fotografie che Agostino gli faceva vedere per dimostrare l’esistenza di questi capolavori dell’ingegno umano. L’automobile, l’aereo, il telefono, il computer e molte altre invenzioni impressionarono Margite, ma ci fu qualcosa che lo colpì in modo particolare: la televisione. Agostino ne aveva portata una nel capannone e si divertì a mostrare come funzionava, cosa trasmetteva…

«Quella donna mi sta guardando…»

«No. Tu la guardi, ma lei non lo sa.»

«Come fa a non saperlo?»

«È un film, è stato girato anni fa.»

«Girato? Cosa significa?»

«Significa che una macchina ha registrato su una pellicola l’immagine in movimento di quelle persone, il sonoro, tutto. Così oggi noi vediamo un film che è stato fatto anche cinquant’anni fa.»

« Non mi dire che quella donna e le persone che sono con lei appartengono al passato…»

«Proprio così. La televisione offre immagini conservate del passato, però talvolta manda in onda immagini del presente, in contemporanea…»

Che fatica per Agostino cercare di comunicare che cosa fosse la trasmissione in diretta di un evento sportivo, di uno spettacolo, di un telegiornale! La fatica era giustificata, il vero scopo dell’assistente del Professor Venosti consisteva nel preparare mentalmente Margite in vista delle sue prossime apparizioni in tv, che sarebbero state, a sentire l’industriale, parecchie. La prima era già programmata per il giorno seguente.

Dopo una settimana di reclusione, Margite avrebbe debuttato davanti alle telecamere, in mondovisione.



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