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Il ritorno di margite 9

Creato il 21 gennaio 2014 da Marvigar4

il ritorno di margite

Marco Vignolo Gargini

IL RITORNO DI MARGITE

RACCONTO

“Giunse a Colofone un vecchio e divino cantore,
servitore delle Muse e del lungisaettante Apollo,
tenendo nelle mani la lira dal dolce suono.
Sapeva molte cose, ma le sapeva tutte male.
Né zappatore, né aratore gli dèi lo fecero,
né in altra cosa sapiente; ma in ogni arte falliva.”
Margite, Pseudo-Omero o Pigrete di Alicarnasso

IX

«La mia città era bellissima, ricca, nessuno di noi si sarebbe mai immaginato che un giorno avremmo avuto un tiranno avido, senza scrupoli. Io ero già un uomo fatto e da qualche anno esercitavo la mia arte con un certo successo. Nel giorno della presa di potere di Gige, re della Lidia, io mi trovavo nel tempio di Apollo, in meditazione, tutto preso dall’estasi divina… fu tanto il frastuono che anche le mura spesse del tempio furono invase dal rumore delle urla, delle spade, delle trombe che annunciavano l’invasione dei soldati lidi. Un uomo scalzo, con i capelli ritti come aculei di un porcospino, irruppe nel sacro luogo dove mi trovavo e mi scongiurò di salvarlo dai nemici che lo stavano inseguendo… chiesi chi fossero i nemici e lui mi raccontò quello che stava avvenendo a Colofone, l’orrore dell’aggressione, i vani tentativi di resistere all’esercito di Gige. Quest’uomo si presentò dicendo d’essere Pigide, un archivista scampato al saccheggio della sua casa. Mi mostrò i documenti ch’era riuscito a salvare nascondendoli sotto il chitone, tavolette in legno o argilla dove lui, così confessò, aveva segnato tutta una serie di notizie che riguardavano la mia città. In una tavoletta notai che c’era scritto il mio nome… lo feci notare e chiesi spiegazioni, ma Pigide sembrava imbarazzato, soprattutto dopo aver saputo che ero io la persona citata sulla tavoletta… di fronte alle mie pressioni, finalmente si decise a parlare: “Hai tutte le ragioni per avercela con me, il tuo nome è qui in questi documenti perché tu rientravi tra le persone indagate per il reato di frode. Ho partecipato attivamente all’inchiesta interrogando tutti quelli che si presentavano a segnalare il tuo caso. In fondo, stavo facendo il mio lavoro… Eri accusato di esercitare abusivamente la professione di oracolo, di estorcere denaro, di ricattare chi si opponeva alle tue richieste, che erano anche di natura fisica… Stavamo per arrestarti proprio in questi giorni, ma l’invasione dei soldati di Gige ha fatto saltare tutto. Non mi restava altro che raccogliere in fretta e furia i documenti segreti per sottrarli al nemico, per questo li ho nascosti sotto la veste. Non ti avevo mai visto prima, non sapevo com’eri fatto, mi sono precipitato qui al tempio perché i nemici hanno ancora degli scrupoli a invadere i luoghi sacri… ti prego, non mi consegnare, salvami! Ti prometto che distruggerò le tavolette che ti riguardano…”.

Che dire? Feci l’errore più grosso della mia vita: mi sono fidato! Attesi dentro al tempio insieme a Pigide il momento giusto per poter uscire e tornare nella mia casa, feci passare almeno due ore prima di non sentire più niente… uscimmo con molta cautela: la città era deserta, nessuna traccia di soldati, tutto sembrava irreale, sospeso in un’atmosfera inquietante… Pigide si era messo addosso un mantello preso tra gli arredi sacri e dei calzari usati per le cerimonie, mi seguiva come un cagnolino spaurito, o almeno così sembrava. Fu strano vedere cessato tutto il clamore che avevo sentito e non scorgere segni di violenza, di saccheggio, di distruzione tipici delle invasioni armate. I lidi erano entrati in città ed evidentemente qualcuno di Colofone, d’accordo con il nemico, aveva spalancato le porte e permesso ai soldati di scorrazzare liberamente. Mi sarei aspettato di incontrare almeno dei feriti che giacevano per terra, ma tutto era a posto, le abitazioni chiuse, le strade tranquille. Ogni tanto davo uno sguardo a Pigide, quasi per avere una risposta di tutto questo, però l’archivista se ne stava muto e continuava a camminare al mio fianco come se nulla fosse. Arrivammo a casa, la trovai esattamente come l’avevo lasciata… Strano. Mi sarei aspettato perlomeno qualche traccia del passaggio delle truppe nemiche, che ne so, almeno un vaso rotto… feci ingenuamente delle considerazioni a voce alta rivolgendomi al mio ospite: “Ma tutto quel baccano che ho sentito quand’ero al tempio cos’era? Credevo dovesse crollare la città da un momento all’altro! Secondo te che cosa è successo veramente?”. E Pigide mi fissò a lungo prima di rispondere, mordendosi il labbro. Alla fine cominciò: “Mi dispiace, sono stato minacciato e dovevo collaborare, altrimenti avrebbero torturato me e sequestrato la mia famiglia. Ti chiedi come mai è tutto così tranquillo e non si vedono segni dell’invasione… la verità è che la conquista della città è avvenuta senza torcere un capello a nessuno, il tiranno da giorni ha fatto sgombrare Colofone, l’accordo prevedeva una presa di potere docile, priva di scontri, con il governo della città destituito grazie all’uso della “persuasione” economica… Gige si è comprato tutto, non ha avuto bisogno di mettere a ferro e fuoco un bel niente, ecco perché le case appaiono deserte e le strade, gli edifici, i giardini sono in ottimo stato. Tu sei un rappresentante della comunità religiosa locale, hai un ruolo come oracolo di Apollo, o sedicente tale, e questo è in contrasto con il nuovo culto che il re della Lidia vuole imporre qua a Colofone, il culto della dea Cibele. Sapevamo dove trovarti, bastava inscenare tutto e farti credere che fuori dal tempio ci fosse un combattimento… il mio compito era quello di prelevarti pacificamente e affidarti ai soldati che ti avrebbero accompagnato fuori della città, così come hanno fatto con tutti gli altri abitanti considerati non graditi da Gige. Ormai non ti resta che accettare la situazione… puoi prendere quel poco che ti basta per sopravvivere e uscire da casa tua… i soldati sono già qui che ti aspettano”. E aveva ragione: diedi un’occhiata fuori e vidi una pattuglia di cinque soldati davanti alla mia porta. Non avevo scampo. Raccolsi il necessario, senza dimenticare la mia lira e la corona d’alloro… mi rivolsi per l’ultima volta a Pigide e gli dissi: “Sei stato gentile ad assicurarmi l’incolumità, ma sei un traditore e quelli come te fanno sempre una brutta fine. Preferisco andarmene piuttosto che trovarmi nello stesso luogo dove tu risiedi. Il tuo nome sarà maledetto in eterno e Apollo mi darà l’estro per comporre dei canti che ricorderanno le tue gesta esecrabili. Che gli dèi abbiano pietà di te!”. Fu così che lasciai la mia città.

Tempo fa ti avevo parlato di un mio segreto, accennavo al fatto che ero fuggito da Colofone… ricordi? Sì, non mi fu più permesso di svolgere il mio lavoro, ma il motivo è quello che ti ho appena narrato. Pigide, quella serpe immonda, non contento di avermi tradito, si mise a screditarmi pubblicamente, costruì su di me una storia falsa, il mio nome divenne famigerato, sinonimo del più vile degli inganni. Aveva ancora paura di me, credeva che non bastasse il mio esilio e così mi fece perseguitare in ogni angolo della terra dove mi trovavo… non appena cercavo di cantare le imprese ignobili di Pigide venivo fermato ed espulso, c’era sempre qualcuno che mi pedinava e interveniva denunciandomi presso le autorità locali. È vero, mi sono diretto a nord, alla fine ho potuto lasciare la penisola greca e seminare l’ultimo “emissario” inviato da quel bastardo… la ragione del mio arrivo al villaggio delle Alpi ora ti è nota.

Un’altra cosa: io so cantare meglio, la mia voce è in grado di intonare melodie veramente celestiali, però ho voluto simulare la mancanza di talento per nascondere la mia arte, per preservarla. A Colofone ero famoso e invidiato, la mia fama aveva varcato i confini ed ero diventato il più importante autore e interprete di inni ad Apollo. Mi facevo chiamare Margite, un nome d’arte scelto perché era il nomignolo scherzoso che mi diede mia madre da piccolo per prendermi in giro… però Pigide l’ha usato per infamarmi e far credere che fossi un impostore… me lo sono tenuto fino adesso, non volevo dimenticare tutta questa assurda vicenda. Quando mi sono svegliato dal mio sonno secolare non ho fatto altro che ripetere la commedia sperando che l’incubo fosse finito, ma avevo torto. Non sapevo che circolassero sul mio conto degli scritti di Pigide creati apposta per mistificare la storia, nemmeno mi sarei sognato di vederli spuntare adesso.»

«Ma, se non ti chiami Margite, qual è il tuo vero nome?»

«Io sono Terpandro di Colofone…»

«Allora, Terpandro, se ho ben capito Pigide è l’autore di una montatura letteraria per salvarsi le chiappe! È lui il vero truffatore e questo squallido Professor Frauenarzt sta cercando di infangarti sulla base di documenti falsi, o no?»

«Io credo che a quel tipo non interessi la verità ma solo la popolarità.»

«Non puoi rimanere qui mentre stanno raccontando un cumulo di menzogne, tu devi farti vivo e demolire la loro operazione…»

«E così si ricomincerebbe tutto da capo! Agostino, io sono stanco di tutto questo, non voglio più prestarmi al gioco di nessuno, ho vissuto troppo tempo alla mercé altrui. Desidero soltanto sparire…»

«Vuoi ancora scappare? Ma non ti è bastato averlo fatto per anni, per secoli? È arrivato il momento di reagire e ribattere punto su punto…»

«Agostino, sei proprio un ingenuo! Pensi davvero che crederanno a me? Pigide è morto e sepolto, invece io sono vivo e ricattabile. Se provassi a difendermi sarei subito intralciato, messo alle strette, accusato di chissà quali altri delitti. E poi, chi può confermare la mia versione? Io sono solo contro tutti… e poi un farabutto matricolato ha sempre ragione quando si è deciso che deve avere ragione! In questo momento la mia pelle non vale un soldo…»

«No, non sono d’accordo. Tu sei una prova vivente, hai informazioni talmente importanti che possono rovesciare del tutto la nostra visione dell’antichità…»

«È proprio questo che non vogliono! Dovrebbero ammettere che Omero, o chi per lui, non ha mai scritto Margite, che Platone e Aristotele hanno fatto riferimento a un documento falso, eccetera, eccetera. Da quel poco che ho intuito mi sembra che i vostri studiosi, accademici, intellettuali preferiscono tenersi ben stretta la menzogna piuttosto che fare nuove ricerche, smentire le loro vecchie tesi e dimostrare d’aver avuto torto. Qui tutti pensano al prestigio personale, alla carriera, ai soldi, pochi amano la verità!»

«E allora, cosa facciamo?»

«Se non ti dispiace, vorrei rifugiarmi un po’ qui, in attesa di togliermi d’impaccio. Ti chiedo questo ultimo favore, Agostino, e poi, ti giuro, ti lascerò in pace per sempre.»



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