Il “rivoluzionario” Berlusconi: “Distruggere il tribunale di Milano, assediare Repubblica”. Vai Silvio. Vai...ad Antigua

Creato il 17 ottobre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
La notizia delle notizie è quella che viene fuori dalla intercettazione di una telefonata fra Silvio Berlusconi e Valter Lavitola. Repubblica ha fatto lo scoop, onore al merito. Dice Silvio: “...o io lascio, cosa che può essere anche possibile e che dato che non sto bene sto pensando anche di fare, oppure facciamo la rivoluzione, ma la rivoluzione vera...Portiamo in piazza milioni di persone, facciamo fuori il palazzo di giustizia di Milano, assediamo Repubblica: cose di questo genere, non c’è un’alternativa”. In un paese normale dopo una telefonata di questo tenore, il Presidente della Repubblica avrebbe mandato di corsa carabinieri, poliziotti, finanzieri e forestali a Palazzo Grazioli e avrebbe immediatamente arrestato il presidente del consiglio per “eversione”. In Italia, paese dei balocchi e del “pilu” pregiato a caro prezzo manco fosse il caviale del Volga, l’uscita del premier verrà fatta passare per uno “sfogo personale” (Paolino Bonaiuti), “la rabbia del perseguitato” (Maurizio Belpietro), “la battuta infelice del re degli showmen” (Giuliano Ferrara), “il segnale di un malessere esistenziale profondo” (Sandro Bondi), “il premier è uno cazzuto” (Alessandro Sallusti), “c’è del realistico nelle affermazioni del presidente del consiglio” (Mario Sechi), “l’ennesima violazione della privacy” (Augusto Minzolini), “la disperazione di Silvio e io lo capisco” (Emilio Fede), “è talmente incazzato che mi sono dovuta mettere la parrucca rossa a riccioli per farlo sfogare” (Nicole Minetti), “..orc... ...ta ...ale...avvero” (Umberto Bossi). Inutile chiedersi a questo punto chi sia stato l’ideatore della campagna pubblicitaria “Pm=Br”, l’ispiratore delle ispezioni ministeriali inviate da Nitto Palma a Napoli e a Bari, l’estensore della “legge bavaglio” pro crimini telefonici; per non fare nomi e cognomi diremo solo: Silvio Berlusconi nato a Milano il 29 settembre 1936. La cosa assurda è che invece delle italiane e degli italiani incazzati, disoccupati, cassintegrati, vessati, derisi, insultati, vilipesi, privi di prospettive e di un futuro qualsiasi, generazione di “NeNe” in crescita esponenziale, a voler fare la rivoluzione è lui, Silvio, che ha il potere vero fra le mani e non sa come cazzo usarlo. Se non fosse il segnale di una chiara patologia psichiatrica, la voce del presidente del consiglio che invoca la rivoluzione sarebbe da tribunale dell’Aja, da immediata denuncia al consiglio di sicurezza dell’Onu mentre non è che il sintomo probante di un cervello alla deriva degno di essere ospitato nel centro lungodegenti del manicomio criminale di Volterra. Ma una verità, dalla telefonata con Lavitola, emerge in tutta la sua drammatica valenza, ed è il momento nel quale Silvio dice: “dato che non sto bene”. Il premier sa di essere malato. Nei frangenti di lucidità se ne rende conto e da ragione alla ex moglie che aveva inutilmente pregato gli amici di stargli vicino. Una persona sana, consapevole di aver corrotto mezzo mondo, teorizzato e messo in atto il voto di scambio, non pagato le tasse, aver abusato del suo ruolo, dileggiato la costituzione e bulgarizzato il parlamento potrebbe anche mentire e, per molti versi, sarebbe comprensibile, ma Silvio no, lui delle cose che dice è convinto, come quando afferma che i giudici stanno attaccando il suo patrimonio personale dopo i danni pagati a De Benedetti per il caso Cir. Ma come, tu corrompi un giudice, acquisisci indebitamente un impero editoriale che non ti spetta e t’incazzi? C’è qualcosa che non va, e l’unico rimedio è andare a curarti in qualche parte del mondo che ti concede l’asilo politico, magari la Tunisia, magari Hammamet. Se c’è un aspetto, però, che merita di essere sottolineato è il cattivo uso del termine “rivoluzione”. In tempi recenti l’unico ad averlo adottato correttamente è stato Mario Monicelli, sia Silvio che i black bloc non hanno invece capito una mazza perché la rivoluzione di Berlusconi è eversione, quella dei black bloc criminalità. Ci tocca tornare al nostro post di ieri perché abbiamo avuto commenti assolutamente non condivisibili. Scambiare la rabbia dei manifestanti contro il Da Molin, o i No Tav o i terremotati dell’Aquila con quella devastante e fine a se stessa dei black bloc, non è solo un errore di comprensione ma un vero e proprio “incidente” storico. In piazza a Roma c’erano le categorie sociali più vessate d’Italia ma nessun manifestante incazzato si è sognato di prendere i sanpietrini e tirarli alla polizia, di incendiare le auto a rate dei co.co.co, di spaccare le vetrine o distruggere i bancomat. Abituati come siamo a fare di tutta l’erba un fascio (la classica politica berlusconiana del “siamo tutti delinquenti nessun delinquente”, non ci rendiamo conto di dove finisca lo “spirito rivoluzionario”e inizi quello criminale. La rivoluzione di cui ha bisogno l’Italia è quella invocata da Mario Monicelli, che di professione faceva il regista cinematografico e non l’agit prop bolscevico. È quella di Ascanio Celestini che fa l’attore e non il teorico della guerriglia urbana. È quella di Giorgio Gaber e di Dario Fo, di Gillo Dorlfes e di Andrea Camilleri. È l’unica rivoluzione possibile, quella che parte da dentro e che prima di mettere mano ai comportamenti degli altri, getta un colpo d’occhio ai suoi. Se Silvio sta dove sta la colpa è anche nostra e della nostra consumistica indifferenza. Il resto, davvero, è piagnisteo da accattoni.

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