Un omaggio al teatro classico greco, servito però in salsa moderna. Questo è successo al Teatro Dehon di Bologna durante la messa in scena de "Il sogno di Lisistrata" proposto dalla compagnia Synergie Teatrali con Gaia De Laurentiis nei panni dell'eroina ateniese. Lo spettacolo tutto è, tranne che una riproposizione pedissequa dell'opera del grande commediografo Aristofane. Siamo infatti di fronte ad una pièce originale ed innovativa, fors'anche ardita e non di immediato impatto, che ci guida in un viaggio colto e fantastico nella poetica del grande teatro classico greco con un linguaggio però modernissimo, quasi sperimentale. Questo è quel che si coglie istantaneamente, colpiti dalla particolarità della messa in scena che pare quasi un mix tra cabaret, burlesque e tradizione classica; contaminazione questa, evidenziata dalle musiche, dalle atmosfere e dai costumi. La storia è quella della prima grande presa di coscienza del ruolo della donna in una società come quella della Grecia classica, che è madre, moglie e amante, ma sempre un passo indietro all'uomo. Lisistrata con la sua grande forza morale ha però un'intuizione geniale: qual è l'arma più grande di cui dispone una donna? Ma naturalmente il sesso. Ecco allora la grande e rivoluzionaria idea di inscenare una sorta di sciopero delle prestazioni sessuali. L'idea è quella di costringere gli uomini a smettere di combattere semplicemente togliendo loro la possibilità di godere delle gioie del talamo. Dunque siamo di fronte al grande tema, più volte ripreso nella letteratura, nel cinema e nel teatro, dell'inscindibile legame tra amore e guerra, tra vita e morte. In questo contesto si erge maestosa ed imponente la figura di Lisistrata, che se da una parte è il motore principale nell'opera di convincimento di tutte le altre donne ad astenersi dall'elargire prestazioni sessuali ai loro uomini, è però anche colei che prende su di sé il dolore e la sofferenza universalmente proprie delle donne laddove, in un drammatico monologo, recita: "[...] sciagurate siamo noi donne a portare il peso della guerra, portiamo in grembo e partoriamo i nostri figli per poi vederli, grandi, andare in guerra a bagnare la terra del loro sangue, [...] la terra dev'essere nel sangue e non invece, come accade troppo spesso, il sangue nella terra [...]".
Sulla scena incontriamo, per restituirci il senso del fantastico di Aristofane, personaggi maschili che recitano parti femminili utilizzando pupazzi e fantocci che rafforzano il senso onirico del recitato interagendo in modo drammatico con i vari personaggi. Due sono i momenti clou dello spettacolo: alla fine del primo tempo, quando un lungo lenzuolo bianco tenuto ad un estremo da Lisistrata, viene steso sul palco e, spente le luci, i personaggi maschili si immergono in uno sfolgorio di luci e colori che rievocano le battaglie della storia, in un crescendo devastante di spari, bombe, grida di dolore che richiamano quasi alla mente una tela come "Guernica" di Picasso o l'onomatopeico manifesto del futurismo di Marinetti. Ma forse ancor più duro e struggente è il finale della commedia quando, fatta finalmente la pace e terminato lo sciopero, i manichini vengono spogliati delle loro vesti femminili e privati delle loro teste divenendo una distesa di croci slanciate verso il cielo ed illuminate da lumini votivi mentre una voce fuori campo inizia a leggere le righe di alcune lettere di soldati dal fronte e di condannati a morte della resistenza italiana. Il momento è di tale partecipazione emotiva che la pur affollata sala piomba in un cupo e rispettoso silenzio, carico di emozione e dolore, che si scioglie nel liberatorio applauso, caldo e scrosciante, che sgorga solo dopo che il sipario, nel frattempo chiusosi, si riapre mostrando insieme i quattro protagonisti. Un'opera davvero originale, che fa sorridere, ma soprattutto fa pensare e riflettere, lanciandoci un chiaro messaggio: i tempi cambiano ma i problemi che affliggono l'uomo, pur evolvendosi, rimangono sempre i medesimi, sullo sfondo infatti ci sono sempre amore e guerra, vita e morte.
Per le immagini si ringrazia il Teatro Dehon di Bologna