Israele, terzo giorno. Emozioni? Tante. Mai più mi sarei immaginata, atterrando domenica scorsa all’aeroporto di Ben-Gurion a Tel-Aviv che Israele fosse tutto questo. Paesaggi, culture, riti, cibi, usanze, religioni, tradizioni diverse raccolte in una striscia di terra che dal deserto raggiunge le verdi e bellissime alture del Golan.
Impossibile restare indifferenti al misticismo e all’energia di questo territorio, a luoghi che rappresentano la storia dell’Ebraismo, del Cristianesimo e non solo. Gerusalemme vecchia ti arriva al cuore in un solo sguardo. E qui respiri un’aria diversa capace di parlare una lingua universale. Il Golgota, il Santo Sepolcro, il Monte degli Ulivi, il cimitero ebraico, le chiese, le sinagoghe, la festa della channukiah, ossia della luce, tutto ti riporta ad una dimensione interiore che non puoi fare a meno di ascoltare.
Sono qui per viaggio stampa insieme ad altri colleghi italiani su invito dell’Ambasciata di Israele in Italia. Si parla di cibo, di enogastronomia, di cultura – quella della tavola – così fortemente radicata nelle usanze di chi in Israele ci è nato o di chi ci è arrivato per i più svariati motivi. E il cibo è una scoperta straordinaria che ci accompagna, passando dal Lago di Tiberiade, fino alle alture del Golan dove crescono vigneti a 1.100 metri sul livello del mare.
E anche gli incontri umani, ancora una volta, lasciano il segno. Non importa che lingua si parli. Come quello con Moshe Basson, chef dell’Eucalyptus Restaurant, con Ezra Kedem dell’Arcadia o con Shai Zeltzer che con il suo formaggio di capra scrive poesie. E mentre scopri che in Israele producono ottimo vino (basti pensare alla Flam Winery o alla Golan Heights Winery) ti trovi in una sera di dicembre a cenare a Usefiya in una casa di Drusi. E mentre Amira cucina un tipico pasto familiare, Azmi ci racconta di come la vita abbia un valore sacro e di quanto il cibo sia fondamentale per preservare la salute del corpo. Il tempo scorre, veloce, tra sguardi curiosi, profumi di spezie, foglie di vite preparate con il riso, melanzane, hummus, burghul, cusa machshi e mansaf, mentre le parole ci raccontano di un popolo senza stato che crede nella reincarnazione, in un dio e in un’anima infinita e nel valore simbolico dei colori.
E arriviamo ad Haifa per la notte. Bellissima dall’alto con miriadi di luci che dipingono sulla terra un infinito cielo stellato. L’hotel si affaccia sul mare. Su quel Mediterraneo che accomuna così tanti popoli. E dalla mia camera d’albergo scrivo ascoltando il rumore delle onde. Intenso, costante, irruento e armonioso allo stesso tempo. Il mare di Haifa questa notte mi parla e mi racconta della sua grande vitalità. La sento. Lo vedo dalla finestra. Respiro la sua brezza. E penso alle parole di Ben-Gurion che Angela Polacco Lazar, nostra guida a Gerusalemme, ci ha detto ieri: “Chi non crede nei miracoli non è realista”. Forse è quello che questa sera mi sta sussurrando anche il rumore del mare.