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Il sacrificio dei galli

Creato il 21 dicembre 2015 da Gaia

I vegetariani, lo dico spesso, non esistono. Forse non esistono nemmeno i vegani, dato che anche per coltivare le loro verdure si devono uccidere gli animali, e quindi nessuno può davvero dire che per il suo pasto non è morto nessun essere senziente (tranne forse quelli che vivono raccogliendo frutti caduti spontaneamente, ma secondo me neanche loro esistono, per altri motivi).

I vegetariani non esistono perché per produrre latte e uova è necessario liberarsi in qualche modo della stragrande maggioranza dei maschi della specie in questione, i quali non producono né l’uno né l’altro e, ora che non esistono più i buoi da soma, non servono a niente. Quindi se consumate latte sappiate che quando nasce un vitello l’allevatore prima o poi, salvo rarissimi casi, lo manderà al macello (dopo avergli tolto il latte che la madre produceva per lui). Ci sarebbe anche da dire che spesso il caglio con cui si fa il formaggio è di origine animale e viene estratto dallo stomaco dei vitelli.

Allo stesso modo, se consumate uova, sappiate che siete complici della grande macchina del massacro dei galli. Non è possibile tenere tutti i polli maschi che nascono: innanzitutto, si scannano, e poi mantenerli in cambio di nulla costerebbe talmente tanto da rendere le uova almeno il doppio più costose. Senza contare che un gallo ha bisogno di più galline: la monogamia, a differenza di altri uccelli, per i polli non funziona.

Ma nemmeno la parola massacro rende l’idea. Se avete letto Se niente importa di Jonathan Safran Foer, saprete che in America i pulcini maschi delle ovaiole, non adatti nemmeno per la carne, vengono uccisi subito, e per uccisi intendo fritti su piastre elettriche, o lasciati soffocare schiacciati da altri pulcini in fondo a grandi contenitori di plastica o tritati vivi. In America, direte voi, non qui. Non lo so: sta emergendo uno scandalo comprovato dietro l’altro legato alla carne italiana, e se c’è una cosa che l’industrializzazione fa è uniformare globalmente qualsiasi pratica produttiva, quindi non mi fido neanche dei polli europei.

I galli, quindi, prima o poi vanno eliminati. Alcuni faranno una fine più atroce di altri, ma solo pochissimi arriveranno a sopravvivere e riprodursi.

E in natura, mi direte, come fanno? Me lo sono sempre chiesta anch’io a proposito delle società poligame. In natura i maschi giovani sfidano quelli che hanno tante femmine finché non riescono a prendere il loro posto, oppure, suppongo, provano a saltare addosso di nascosto alle pollastre. O stanno senza, non passano i loro geni, e presumibilmente soffrono e questo mi fa star male ma non posso farci niente.

Nessuna di queste cose può andare bene in un allevamento, che è natura e non è natura al tempo stesso. Ci sono minimi e massimi di quante galline può avere ciascun gallo per stare bene e provare a fare altrimenti non può che causare sofferenze agli animali, galline comprese dato che poi il maschio frustrato lo devono subire loro.

Come vi ho detto, le mie prime galline io le ho comprate. All’inizio non ci ho pensato, poi ci ho riflettutto un attimo e mi sono resa conto che anche comprare galline non dà abbastanza garanzie. Che ne è stato, infatti, dei loro fratelli?

Un giorno sono andata al mercato per fare questa domanda all’uomo che me le aveva vendute. E lui mi ha detto questo: che compra i pulcini in Emilia e non sa dove siano nati  ma probabilmente in Emilia o Lombardia, perché non ci sono tanti posti in Italia che producano polli da vendere in quantità industriale. Se non ricordo male, le uova si schiudono nelle incubatrici; una parte delle galline e dei galli li comprano i venditori come lui, e i maschi in più vengono allevati per il macello e difficilmente, secondo lui, superano il mese di vita. Ecco cosa ne è dei fratelli delle mie galline. E a me questo non sta bene.

Mi dispiace dirlo perché io non vorrei dare l’impressione che il venditore delle galline del mercato di Tolmezzo vada boicottato – anzi. Le galline che mi ha venduto si sono rivelate ottime ed è sempre stato disponibile quando gli ho fatto delle domande. Voglio che i suoi affari vadano bene, mi sembra che se lo meriti. Semmai vorrei che questo affare fosse leggermente diverso. Vorrei che ai galli venisse data almeno una possibilità di vita più naturale di un allevamento intensivo, vorrei che le galline fossero prodotte localmente e non industrialmente chissà dove, e che avessero un minimo di cura. Vorrei che tutte le uova fossero covate e non incubate, che ogni pulcino venisse seguito da sua madre e che avesse buone possibilità di sopravvivere. E vorrei anche che ogni fecondazione fosse naturale (per i polli non lo so, ma so che ormai nemmeno a cavalli e vacche viene data questa soddisfazione. Per comodità nostra neghiamo agli animali persino la naturalità del sesso).

Pochi giorni fa ho letto una notizia in tipico stile di cronaca locale, un trafiletto su un furto in un allevamento di polli. I ladri li avevano ficcati in fretta e furia in dei sacchi, con il risultato che quasi metà degli animali rubati erano stati trovati morti. L’allevatore si lamentava, come fanno tutti quelli che sono stati derubati: dovrò chiudere, non è la prima volta, nessuno ci tutela, eccetera. Niente nell’articolo, nemmeno una parola né del giornalista né dell’allevatore, lasciava intendere la minima preoccupazione per la sofferenza degli animali. Il danno veniva presentato come puramente economico, come se fossero state rubate trenta biciclette.

Per gli allevatori i galli sono solo carne da macello, e negli orti domestici non va tanto meglio. Ogni volta che dicevo che avrei voluto anche un gallo, invariabilmente la risposta dei locali era: “stai attenta, che a me l’hanno fatto ammazzare”, oppure: “stai attenta, che te lo fanno ammazzare”. Non conto più le storie di gente che dice che aveva un gallo che dava fastidio al vicino (o a lui stesso, in un caso), e quindi ha dovuto farlo fuori. Io ogni volta mi arrabbiavo: “ma in montagna non si possono tenere i galli???” E spiegavo che mio padre li aveva in città e nessuno aveva mai detto niente, che se non si possono tenere in montagna allora dove… al ché la gente mi rispondeva: eh, sì, siamo diventati intolleranti…

Ma non è neanche questo. La mattina in montagna comincia spesso con i cani. E se il canto del gallo è molesto, allora l’abbaiare di certi cani è l’inferno sulla porta: martellante, feroce, capace di attraversare ogni sonno. Ma cosa bisogna fare? Il cane fa il cane, non ne ha colpa, non ne hanno colpa, di solito, nemmeno i padroni, e allora si sopporta. E il cane è niente. Dal lunedì alla domenica, e soprattutto nei giorni di festa, la mattina in montagna comincia con il risveglio dei motori: motoseghe, motorini, motocarriole, motociclette, paramotori, api, trattori, decespugliatori, flex, seghe circolari… e ognuna di queste cose sembra progettata apposta per fare il massimo rumore possibile. E se non lo è, fargliene fare un po’ prima di partire sembra quasi un segno di virilità. Brrmmmm, brmmmm, brmmmm…. a vuoto.

Perché non si può tirare il collo alle motoseghe?

Anche questo si sopporta. Però per qualche motivo nessuno sopporta il canto del gallo. L’altro giorno parlavo con un uomo, carnico, che mi raccontava di aver spostato il suo gallo da un’estremità all’altra del giardino per accontentare i vicini, e alla fine di esserselo portato in casa ogni sera per un’intera estate perché il vicino altrimenti non riusciva a dormire. Il canto del gallo può dar fastidio, capisco, ma né più né meno di tante altre cose. Penso che ci si senta in diritto di non sopportarlo perché, a differenza dell’abbaiare del cosiddetto migliore amico dell’uomo, imprescindibile in questa società in cui l’amicizia vera è scivolata così in basso assieme alla considerazione per tutte le altre specie, e dei motori, simbolo di progresso e di comodità, il gallo è un fastidio superfluo, un fastidio da poveri, una sporcizia sotto casa. Non si sopporta il gallo perché fa parte del pacchetto di cose da lasciarsi alle spalle.

Un altro signore con cui ho parlato di polli un giorno mi ha detto: “sai perché cantano i galli? Non perché è l’alba. Perché hanno dentro come un…” – qui provo a parafrasare, perché non ho capito bene neanch’io. Intendeva come degli ormoni, ma anche un entusiasmo, insomma qualcosa dentro di loro a cui devono dare sfogo e per cui non riescono a trattenersi dal cantare. Allora io ho capito che anche il gallo è un animale meraviglioso. È maestoso, è colorato, è fiero di sé, il gallo straripa di una gioia di vivere incontenibile. E allora canta. Se voglio produrre le uova in maniera rispettosa delle galline, devo rispettare anche i galli.

Un giorno il padrone della casa in cui stavo si è presentato da me con un regalo. Ha poggiato a terra una scatola di cartone e mi ha detto: “un galletto!”

Ho aperto. Dentro c’era un pollastrello agitatissimo, con il manto bianco, grigio, arancione e nero, un’accozzaglia a suo modo armonica tipica delle razze imbastardite. L’ho liberato in giardino. La prima cosa che ha fatto è stata beccare la gallina nera e quella piccola, con mio sollievo: è così che si deve comportare un gallo. Con le rosse, però, non c’è stato niente da fare: hanno attaccato anche lui. Ne era così terrorizzato che scappava appena si avvicinavano. Il pollaio che credevo di pacificare era diventato un circo completo: le galline rosse che rincorrevano il gallo che rincorreva la gallina nera…

Appariva tutto molto irrazionale. Io mettevo lo stesso cibo in tre ciotole diverse. Le due rosse si fiondavano su una ciotola. Timidamente, gli altri assaggiavano da un’altra ciotola. Allora una delle due galline rosse li cacciava per mangiarci lei. A quel punto c’era una ciotola vuota, che restava tale. Questa cosa andava avanti con innumerevoli variazioni, come se l’obiettivo delle galline non fosse tanto mangiare quanto prendere il cibo delle altre – un po’ come i bambini che vogliono il gioco che hanno gli altri bambini, e quando ce l’hanno non lo vogliono più.

Per assicurarmi che mangiassero tutti e non vedere più scene isteriche, mi misi a lanciare granaglie dal balcone come i re di una volta con la plebe. Usavo i lanci per spostare le galline rosse: appena si avvicinavano alle altre per cacciarle, io le distraevo con un lancio ben mirato – perché se era troppo lontano non se ne accorgevano, se era troppo vicino non serviva. Praticamente le pilotavo dall’alto sparando granaglie. Sembrava un videogioco.

La mia attenzione ora si concentrava sul nuovo arrivato, il galletto. Sembrava molto spaventato dalle galline. Non faceva chicchirichì. E a ben guardare non aveva neanche più cresta e bargigli di loro… mi venne un sospetto… non era magari, per caso, per sbaglio, una gallina anche lui?

Lo presi in braccio e iniziai a girare per il paese, fermando la gente che incontravo, mentre la bestiola piano piano si calmava tra le mie mani.

Secondo te questo è un gallo o una gallina?”

“Gallo.”

Gallina.”

È giovane…”

A me sembra una gallina.”

Quello fu il primo giorno. Ogni mattina mi alzavo e aprivo il pollaio, e poi lo guardavo. Ogni tanto mi sembrava un gallo. Ogni tanto una gallina. Guardavo la coda, gli speroni, la cresta, come si comportava, i versi che faceva, chiedevo a tutti, metà dicevano gallo e metà gallina, io lo pregavo: “cosa sei?? Palesati!” Non faceva chicchirichì. Ma neanche le uova. Aveva paura delle galline rosse (e di me). Però forse doveva ancora crescere…

Coinvolsi nel dubbio anche i passeggeri della corrierina locale, e persino gli autisti, che mi suggerirono una terza possibilità: “è un scroc.” Un scroc sarebbe un gallo che non fa il gallo, non ho capito bene come funziona, e nemmeno se è una cosa che esiste veramente o un animale leggendario. Ho chiesto in giro, alcuni dicevano: “sì, lo scroc!”, altri: “non ne ho mai sentito parlare…” Leggenda o verità, scroc o gallina, dopo svariate settimane di dubbi laceranti decisi che il mio non era un vero gallo. Me ne serviva un altro.

Come tante altre cose qui, non serviva chiedere: mi fu generosamente offerto. C’è un signore che prende spesso la corrierina e viene, volente o nolente, puntualmente aggiornato sugli sviluppi del mio pollaio. Si incaricò di trovarmi lui un vero gallo.

Me ne propose due. Uno era bianco, alto, bello, lo aveva visto in foto. L’altro era rosso e nero, bello anche lui, e come il primo destinato a venire ucciso se non lo prendevo. A questo punto, in realtà, avevo ricevuto varie offerte di galli e mi sentivo come si può sentire chi ha il potere di graziare solo uno tra tanti innocenti.

Provai a chiedere come sarebbero stati uccisi questi galli se non li avessi presi.

Purtroppo, il problema della libertà universale di tenere animali, e del bassissimo status degli animali da cibo in particolare, è che chiunque fa quello che vuole di loro. In anni di conversazioni in campagna e montagna ho sentito una quantità tale di storie raccapriccianti che meriterebbe un post a sé. Non so quanto andare avanti. Una volta si usava uccidere le galline roteando un coltello nella loro orecchia per far uscire il sangue. “La fame”, mi si dice, ancora, per giustificare questa pratica. Io non credo che esista fame sufficiente a giustificare la tortura.

Il gallo rosso e nero sarebbe stato dissanguato, sì, ma dalla gola. Forse avrei dovuto prendere quello. Invece scelsi, per comodità, quello bianco – che poi ho scoperto sarebbe stato annegato.

Un giorno di fine autunno presi la mia gerla, mi vestii bene e partii. Il paese dove si trovava il mio futuro gallo è quasi esattamente di fronte a quello in cui abito. Lo vedo dalla mia casa. Per qualche motivo, il mio paese e quel paese sono rivali, ma questa è un’altra storia.

Camminai per quasi un’ora, lentamente, trasformando quelli che sarebbero stati dieci minuti scarsi di macchina in una passeggiata meravigliosa. C’era silenzio. I boschi erano verde scuro, marrone secco, qua e là infiammati da chiazze di larici. Al paese il ragazzo del gallo mi aveva vista arrivare prima che io vedessi lui, mi condusse tra le case e i cortili fino a un recinto pieno di polli. Prese il giovane gallo, lo mettemmo in una scatola con del cibo, feci un pezzo a piedi portandolo nella gerla, poi siccome zampettava e temevo si agitasse troppo salii sulla corriera. Il conducente mise la scatola vicino al cambio e, dando una sbirciata dentro, disse: “A me sembra una gallina…”

Arrivata a casa, aprii la scatola e lasciai uscire il gallo. Era davvero splendido: grande, candido, con appena due aloni color corallo sulle ali. Le due galline rosse, le due padrone del pollaio, gli vennero incontro. Per qualche secondo si guardarono tutti e tre, vicinissimi e immobili.

All’improvviso partì la zuffa. Erano in due contro uno – per i pochi secondi che durò, sperai che almeno questo gallo avesse la meglio su di loro. Niente da fare. Avevano messo sotto anche lui.

Inizai a perdere la mia speranza di avere pulcini. Provai a parlare con le galline. Essere femministe non significa odiare gli uomini…”

Nel frattempo era arrivato anche l’altr* gall*, il sospetto scroc. Lo guardai per studiare come avrebbe reagito. Aprì le ali, tirò il collo

   CHICCHIRICHÌ

Io e il vicino ci guardammo.

Neanche a farlo apposta”, mi disse.

Il proverbio dice: non ci possono essere due galli in un pollaio. Avevo un nuovo problema.

La gerarchia del pollaio è curiosamente non lineare. Per esempio, Scuffet (la peruviana nera) è sotto le galline rosse ma tormenta il gallo bianco (Gallo Secondo) con accanimento – perché? È sottomessa a Vincent (il gallo), che invece è indifferente a Gallo Secondo, ed è leggermente superiore alla Mini Gallina. Ma quando si tratta del gallo bianco, lo va proprio a cercare per tormentarlo.

Non riesco nemmeno a capire la logica della gerarchia. Non è basata sulla stazza, evidentemnete, dato che il povero gallo bianco, il più grande di tutti, è penultimo. Nemmeno sull’età, però, o sull’anzianità di pollaio, dato che come dicevo la gerarchia non è lineare.

I commenti ai miei post, finora, hanno sottolineato la nostra somiglianza con le galline. Io però penso che ogni specie abbia le sue regole, i suoi sistemi, e che pensare che quello che vale per i polli valga anche per noi è come considerare un documentario sui pinguini un inno alla monogamia come sistema universale (tempo fa era successo, se non ricordo male). Per esempio, credo che possiamo essere tutti d’accordo almeno sul fatto che nel rapporto eterosessuale la femmina di Homo sapiens debba essere consenziente. Come dice la campagna anti-stupro “no means no”, per consenso non s’intende no ma in realtà è sì, tirarsela ma sotto sotto starci, aver detto di sì un’altra volta, provocare e cambiare idea… no: il consenso significa che non dev’esserci il minimo dubbio che la donna in questione, o l’uomo, voglia avere quel rapporto sessuale in quel momento con quella persona.

Ecco: i galli non la vedono così. Per niente. In realtà, pare che anche i galli riconoscano un minimo la volontà delle galline, e quindi facciano cose seducenti tipo procurare del cibo per loro e invitarle a mangiarlo (e poi: zac!). Solo che i miei, o perché è inverno e tanto cibo da scavar fuori non c’è, o perché sono giovani e quindi come i giovani uomini si sentono più a loro agio con metodi grossolani, fatto sta che finora usano una sola tecnica: tirare la gallina per le piume per tenerla ferma e saltarci sopra. E la gallina, la cui psiche in quel momento per me è del tutto imperscrutabile, fa dei rumorosi versi di protesta, le prime volte magari se ne va, ma alla fine è lì sotto il gallo che fa cose che non vi descrivo per non scadere nella pornografia, e quando il gallo ha finito, sempre protestando, scuote le piume come schifata e va via. Due ore dopo è di nuovo lì vicino al gallo.

La mia reazione a questo spettacolo, lo confesso, è di esultanza. Siccome vorrei avere dei pulcini, e siccome mi sembra tutto in regola anche se effettivamente lascia un po’ perplessi, io tifo per il gallo. “Vai, Vincent!”, gli dico ogni tanto, e ci rimango male se la gallina lo disarciona. Però è ancora inverno, anzi è l’inizio dell’inverno, e prima che sia l’ora dei pulcini devono sopravvivere loro e devo sopravvivere io.


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