Quando Wim Wenders decide di fare un documentario su qualcuno che ammira non sbaglia mai un colpo. Così era stato con Tokyo – Ga, Buena Vista Social Club, The Blues – The Soul Of A Man e infine per Pina e così è ancora per questo, magnifico, Il sale della terra, ritratto agiografico di un fotografo monumentale, il brasiliano Sebastião Salgado, di cui è co-regista il figlio del fotografo Juliano Ribeiro. Il regista tedesco, innamoratosi di Salgado comprando due sue fotografie, ha poi deciso di fare un film su di lui per capire qual è il mistero profondo della sua fotografia così lirica senza eppure mai fare sconti alla asprezza del reale su cui posa l’obiettivo. In particolare si raccontano le fasi di cambiamento nella sua carriera di fotografo (e idea di fotografia e del genere umano), e dunque nella sua stessa vita: dall’abbandono scriteriato della carriera come economista a viaggi che lo tenevano lontano mesi e anni dall’adorata famiglia per fotografare l’America Latina, dall’orrore del genocidio nel Sahel al disagio delle migrazioni, dal lavoro dei pompieri accorsi in Kuwait per lo scoppio dei pozzi di petrolio al suo ultimo lavoro, Genesis, omaggio alla Terra e ad ogni forma di vita con cui l’autore ha avuto un risarcimento dallo stesso pianeta che gli aveva concesso la orrenda anteprima del genocidio in Rwanda e il compito di rilanciarlo nel mondo. Un’epopea sempre in procinto di rimettersi in discussione, muovere una nuova pedina nel segno della passione per la fotografia e nel solco tra Eros e Thanatos, amore e morte che sono le forze che muovono il mondo e lo stesso Salgado attraverso il pianeta, in oltre cento paesi tra catastrofi, genocidi, migrazioni, paradisi naturali, gli ultimi del pianeta.
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