di Augusto Benemeglio
In principio, Dio diede a ogni popolo una tazza di argilla, e da quella tazza essi bevvero la vita Tutti la immersero nell’acqua, ma le loro tazze erano diverse. E la nostra si è rotta. La nostra, ora, non c’è più. (Proverbio indiano)
Una statua in cartapesta leccese in corso di lavorazione
1. Dice Frobenius che in ogni creativo il dare forma nasce dalla commozione e la mano dell’uomo che plasma e modella l’oggetto, esprime il bisogno di manifestarsi come potenza fisica e materia nel senso più pieno del termine. E’ una mano magica quella che accarezza, plasma e “commuove” la materia . La stessa mano, ad esempio, del Mastro Geppetto di Maglie al secolo Nino Giustiziero, che in corte dei Droso creava dei Pulcinella e dei Pinocchi danzanti davvero magici e sublimi e tanti altri giocattoli da favola paperelle, casette, nani e altalene costruiti soltanto con pezzetti di legno fili di spago e turaccioli di sughero. Il tutto veniva realizzato rigorosamente a mano ( unico aiuto l’archetto). Ed erano mani straordinarie quelle dei cartapestai leccesi che facevano levare nuvole di fumo improvvise che uscivano dalle botteghe del centro storico, al cui diradarsi appariva il volto estatico di una madonna, la figura attorta, terrazzata di pieghe iperboliche dell’abito seicentesco che esprimeva il mistico squasso e la mano sapiente dello statuario che allontanava da essa il ferro rovente. L’ignoto barbiere leccese ( che qualcuno però, identifica in Mastro Chiccu Curtu) che inventò la tecnica della cartapesta e tutta la teoria degli ignoti e geniali barbieri di via Grandi e via Umberto I° che tra un salasso e una barba, muovevano le dita delle loro abili mani su un tozzo informe di creta dando vita, quasi per magìa, ai pupi del presepio: madonne, asinelli, angeli, pastori, cammelli, pecore, ecc.. Forse nulla sapevano del fatto che pensare è misurare e che all’origine dell’atto creativo mano e mente erano un tutt’uno.
2. La mano era magica e nell’universo visibile era tutto pieno di mani “anche l’alba e il tramonto incrociavano le mani e guardavano il transito infinito delle cose che scorrono”. E proprio nel Salento grande serbatoio della Storia e della Preistoria si concentrarono nelle viscere della terra i primi segni i primissimi passi dell’uomo darwiniano. Ed è nel Salento misterioso e solitario da prima notte delle stelle rosario paganeggiante di grotte e di caverne pieno di pietre che danzano con le ombre del sole, che nacquero forse, le prime opere “creative”: ” Sentii che le mie stesse mani -scrive Neruda- avevano lavorato lì in un’epoca lontana, scavando solchi, levigando macigni, innalzando altari….” Allora al tempo dell’uomo dell’amigdala di Casarano, (utensile o arma preistorica, rappresentata da ovuli di selce scheggiata su entrambe le facce, a forma di grossa mandorla) primo esempio di artigianato autentico la natura era ancora magica e la mano dell’uomo creava meraviglie come le Veneri di Parabita, figure intagliate nell’osso e raffiguranti la Grande Madre pindariana “che ha dato l’alito della vita agli uomini e agli dei”. Allora non c’era opposizione tra il lavoro manuale e il lavoro della mente. Non esisteva la figura dell’intellettuale come la intendiamo oggi negato quasi sempre all’attività manuale anzi l’arte stessa era considerata un “fare” mediante la mano . E ciò non solo per l’abilità derivante dall’esercizio, o da riflessi condizionati ma dalla continua partecipazione mentale. Questo principio d’unità mano-mente dava sicurezza e serenità beni che oggi abbiamo perduto. Inizialmente anche la macchina sembrava essere stata realizzata come un prolungamento della mano, anzi ne accresceva la potenza ne moltiplicava la magia: la macchina–magoi..
Una delle cd. Veneri di Parabita (da La passione dell'origine - a cura di Eletttra Ingravallo)
3. “Ho fatto sempre tutto con le mie mani e con l’archetto” disse orgogliosamente Mastro Giustiziero alzando gli occhi nella “sua” corte dei Droso tra antiche case che conservano le ” chianche” e i tetti a tegola le scale e la balaustra in pietra e una profusione di vasi di geranio, piccoli e preziosi patrimoni antichi della cultura salentina. La macchina per lui era l’archetto, ma quelle che contavano erano le sue straordinarie callose e forti mani aduse al freddo e al gelo dell’inverno, ai lavori pesanti ( aveva fatto lo spaccapietre,
prima di diventare il giocattolaio di Maglie conosciuto in tutto il mondo ) quelle stesse mani vigorose e abili che hanno i vecchi pescatori di Gallipoli che intrecciano giunchi sui gradini del Canneto per nasse e conzi e pensieri di cieli violacei e perduta giovinezza così come le mani dei maestri del ferro battuto di Spongano che hanno conoscono i segreti della scintilla e dell’anima del ferro. Mani magiche, dicevamo, come lo sono quelle lievi e carezzevoli delle monache di Santa Teresa, mistiche mani e soavi delle ricamatrici di Gallipoli che creano ancora sontuose vesti liturgiche e paramenti sacri pregando e cantando lodi al Signore.
4. Ed anche nei testi sacri mano significa “conoscenza“, è un’esplorazione che palpa e costruisce. E infatti nell’iconografia il Cristo è spesso rappresentato con delle lunghe mani simbolo di suprema conoscenza . Una diversa conoscenza mostra di possedere anche il progenitore di tutti gli artisti e artigiani salentini il monaco Pantaleone che realizzando il magnifico mosaico pavimentale della Basilica Cattedrale di Otranto fornisce una delle risposte importanti alle ispirazioni sociali e morali del secolo XII . E’ un vero e proprio inno all’amore per la vita, al gusto della bellezza e dello splendore dell’arte realizzato con piccole tessere cubiche di calcare locale, durissimo, il tutto fatto a mano. Un inno anche alla manualità, dunque. E non a caso, perché è proprio la mano dei cesellatori delle ceramiche rinvenute nei sepolcri, che conferma la divisione della Puglia preromana in tre regioni: Daunia al Nord, Peucezia al Centro, e la Messapia al Sud. Quelle ceramiche infatti esprimono aspetti culturali diversi, uno stile diverso, delle ” mani ” diverse . I ceramisti
messapici si mostrano dotati di gusto raffinato e di mano leggera, a differenza dei Peuceti che sono noiosi ripetitivi e monotoni o dei Dauni che sono forse più fantasiosi ed effervescenti ma meno rigorosi ed eleganti .
5. Le anfore di Ceglie Messapica, tarchiate, con alte anse a nastro, preannunciano le trozzelle che saranno per secoli l’elemento più caratteristico della ceramica messapica, la maggior parte delle quali appartiene al periodo detto di “Gnathia” dal nome del paese ( Egnatia) dove sembra fossero fabbricate. E sono vasi straordinari, con un fondo nero, di sobria lucentezza sul quale è dipinta una caratteristica decorazione floreale in bianco e giallo con ritocchi in rosso. Vasi che non si sa come in questi ultimi tempi stanno prendono altre strade diverse dalla patria originaria, insieme ad altri reperti così come i muretti a secco splendide opere dell’artigianato povero dei contadini i caseddri e gli stessi ulivi argentati in una sorta di spoliazione (o autospoliazione) della identità del Salento, a cui nessuno sembra opporsi seriamente.
Scrisse Carlo Levi: “Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore distratto. Le stagioni scorrono sulla fatica contadina oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è rivolto a questa povertà refrattaria.” E’ un dato che accomuna il Salento a ogni “meridione“: italiano, europeo, mondiale.
6. “Sono caduti e precipitati gli stemmi e le torri, ma sono stati recisi anche legami e affinità, vincoli materiali e radici culturali”, scrive Nello Wrona. “Il Salento vero, quello autentico, si svende, si baratta nelle fiere di paese e nei mercati rionali, con la fredda convinzione che ” gli dèi se ne vanno”, e che i venti hanno ormai disperso le ultime tracce e gli ultimi sparsi granelli della creta biblica. Il Salento grida il suo dolore ellenistico, ma nessuno sembra ascoltarlo. Anche le mani dei salentini del duemila quelle dei cartapestai leccesi, delle creatrici di bambole di Nardò, delle ricamatrici delle ventine di mussolina, degli attuali artigiani figuli, dei pupari e dei fornai dei costruttori di carri grotteschi allegorici, dei pescatori di nasse e conzi, dei maestri del ferro battuto, ecc. sono sempre mani magiche e tuttavia la nostra tazza d’argilla si è rotta.
La tazza non c’è più. ….
Gli dèi se ne vanno e il Salento svende…