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Il salotto buono della Formula 1

Da Calcioromantico @CalcioRomantico
Monaco 1929, Williams su Bugatti

La curva più veloce del mondiale fatta alla luce dei faretti e all'uscita dal tunnel la chicane che immette nella zona delle piscine. Sulla sinistra gli yacht attraccati al molo, in perfetto ordine gerarchico e ovunque palazzi e ville che ai piloti sono familiari. Perché dopo che hai assaggiato l'asfalto del salotto buono della Formula 1, a chi corre vien voglia anche di provare l'aria e le facilitazioni fiscali offerte. Montecarlo ha un fascino particolare. A prima vista sembra solo un sopravvissuto di un automobilismo che fu, ma la sua presenza nel mondiale non è un omaggio alla memoria, il Gran Premio di Monaco ha qualcosa in più che difficilmente terrà i bolidi lontano da questo posto anche per gli anni venire: è la casa della Formula 1 che ricca ormai è diventata e che nobile si è sempre sentita. 

La leggenda di Montecarlo inizia in sordina nel 1929 quando i circuiti cittadini sono più la norma che l'eccezione. A vincere davanti alle Mercedes è un pilota di madre francese e padre inglese, Williams, al secolo William Grover, al volante della francese Bugatti colorata di verde, il colore che di lì a breve sarebbe diventato il British Racing Green. Una strana anticipazione di quella che sarebbe stata la vita di Williams, richiamato durante la Seconda Guerra Mondiale dall'esercito inglese, impegnato dai Corpi Speciali come supporto alla Resistenza francese, catturato e ucciso nel 1943 dalle SD naziste tedesche.

1955 Monaco partenza
Monaco nel 1936 e nel 1937 fa il primo salto di qualità: il Gran Premio viene inserito tra le gare che assegnano, rispettivamente, la terza e la quarta edizione del Campionato Europeo. I tedeschi, anzi i nazisti, stavolta ce la fanno a vincere, prima con uno dei fuoriclasse dell'epoca, Rudolf Caracciola su Mercedes, e l'anno dopo con Manfred von Brauchitsch, sempre su Mercedes. Montecarlo è anche tra i sei circuiti su cui si corre per assegnare il Mondiale del 1950, poi un black out di alcune stagioni e il rientro definitivo nel Mondiale in una data difficile da dimenticare per la Formula 1, il 22 maggio 1955. Sin dalla partenza le Mercedes di Fangio e Moss sono in testa, ma per problemi tecnici sono costretti al ritiro. Primo si ritrova così Alberto Ascari su Lancia, già campione del mondo nel 1952 e nel 1953 su Ferrari. Sono però due stagioni che Ciccio Ascari manca la vittoria in una gara mondiale, stagioni segnate dal divorzio col Drake e dall'inizio dell'avventura con la Lancia, e la ruggine non è forse andata via del tutto. Fatto sta che per un guasto, per un suo errore o per una macchia d'olio al giro 80 su 100 la sua monoposto va dritta alla chicane dopo il tunnel e si ritrova in mare. Ripescato, Ascari ne esce illeso, ma turbato. Quattro giorni dopo è a Monza e forse per liberarsi dell'incubo appena vissuto chiede al suo amico Eugenio Castellotti di poter salire sulla Ferrari 750 Sport che stava testando. Non concluderà il terzo giro e si schianterà alla curva del Serraglio, dove c'è oggi la variante che porta il suo nome.

Da quel giorno sono passati cinquantotto anni, altrettanti Mondiali di Formula 1 e altrettanti Gran Premi di Monaco. Il circuito di Montecarlo è stato testimone delle imprese di Graham Hill e Ayrton Senna, in grado di vincere rispettivamente cinque e sei volte. È stato complice di incidenti drammatici, come quello di Lorenzo Bandini nel 1967, o semplicemente spettacolari, come quello innescato da Derek Daly, l'irlandese volante, in partenza nel 1980. Ha vissuto interminabili gare solo pit stop e niente sorpassi, vedi la gara vinta da Montoya nel 2003, o pazze gare sotto la pioggia, vedi l'incredibile vittoria di Olivier Panis su Ligier nel 1996. Ha visto Jochen Rindt passare Jack Brabham all'ultimo giro nel 1970 e Michael Schumacher, Prost e Häkkinen dominare dal primo all'ultimo metro. Ha assistito alla prima vittoria di una Ferrari turbo e agli unici due trionfi di Maurice Trintignant in gare valide per il Mondiale.
Qualcosa in tanti anni è cambiato, anche in nome della sicurezza, ma il circuito
non è stato snaturato e così ancora oggi nella discesa che porta al Mirabeau possiamo ammirare quell'avallamento dell'asfalto che costringe a ogni giro piloti abituati ad andare a oltre trecento all'ora a doversi spostare come se stessero guidando in città.

 


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