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Il salvataggio di Milanese dall’arresto? Una questione banalmente politica

Creato il 23 settembre 2011 da Iljester

Il salvataggio di Milanese dall’arresto? Una questione banalmente politica

Il voto su Milanese ha dimostrato ancora una volta un intreccio malato tra politica e giustizia. Certe questioni infatti non dovrebbero avere un ruolo così importante nella cronaca del nostro paese. Dovrebbero essere riservate al tipico trafiletto che il cittadino legge velocemente. E invece niente di tutto questo: Milanese, così come Papa e altri, alla fine «rubano» le prime pagine dei giornali e calamitano l’opinione pubblica italiana, neanche si trattassero di bollettini di guerra, dividendola tra garantisti e manettari, tra chi vorrebbe certi politici in gattabuia per il sol fatto che sono politici, e chi invece li protegge per il medesimo fatto. Tra chi vede i magistrati come degli eroi, e chi invece li vede come i demolitori della democrazia.
È il parossismo odierno. Viviamo in un paese sbandato, che non sa più (sempre l’abbia mai saputo) dove sta il diritto, né sa dove stanno le fondamentali regole della democrazia. Ci piaccia o meno, ma l’antiberlusconismo giustizialista ne è la cartina di tornasole. Quando la politica si dichiara ostaggio della giustizia, la democrazia è arrivata al capolinea. O come ha detto Davide Giancalone (Il Tempo) qualche giorno fa, alla «frutta congelata».
E che siamo alla frutta congelata (marcia), non v’è dubbio. Del resto, Milanese non è altro che il prodotto di un’azione politica di risposta (della maggioranza) a un’altra azione politica di infimo livello: quella dell’opposizione, che attraverso il voto contro il collaboratore di Tremonti contava di delegittimare il Governo e la maggioranza attuale. Milanese era solo il grimaldello, lo strumento attraverso il quale la sinistra sognava la caduta del Governo e dunque Palazzo Chigi. Una puntata già vista: la giustizia che in un modo o nell’altro apre le porte del Governo alla sinistra. Non già dunque il voto del popolo, ma l’ordine di arresto di un parlamentare della forza avversaria.
Troppo facile? Già. Ma in questa Italia dove regna il disordine democratico, economico e giudiziario, niente è più normale di un intreccio malato tra giustizia e politica, e tra politica ed economia. Ed è talmente considerato normale, che le fondamentali regole costituzionali che regolano il rapporto tra i poteri dello Stato sono state gettate alle ortiche in nome di un viscido, quanto oscurante e bieco giustizialismo. E talmente lo è (normale), che persino una consistente parte dei cittadini ormai porta nel suo DNA mentale l’idea che la politica deve essere subordinata alla giustizia, perché questa subordinazione soddisfa il criterio dell’uguaglianza.
Ma il principio supremo dell’uguaglianza poco c’entra con i giochi politici e giudiziari che si contendono il potere egemonico nel nostro paese. Poco c’entra l’uguaglianza con l’uso distorto della giustizia e delle sue risultanze d’indagine, quando vengono utilizzate non già per salvaguardare l’effettività della legge, ma per sputtanare l’avversario politico sui giornali. Poco c’entra il principio dell’uguaglianza con l’esigenza di tenere separati e indipendenti i poteri dello Stato, che non comporta certo impunità per il politico, ma nemmeno azione illimitata e irresponsabile per il giudice.
Eppure così non è. La sinistra usa il principio di uguaglianza in modo così distorto per i fini suoi politici (che in alcun modo riguardano il perseguimento della giustizia o della democrazia), che inevitabilmente questo è stato svuotato del suo significato armonico più profondo. Nel momento in cui si crea un conflitto (apparentemente) insanabile tra i tre poteri dello Stato, è l’intero impianto democratico a crollare su se stesso, portando con sé anche l’esigenza di garantire l’uguaglianza fra i cittadini; uguaglianza – riepeto – che nulla c’entra con l’esigenza di garantire, nel solco democratico, l’autonomia della politica dal potere giudiziario e viceversa. Poiché è proprio questa esigenza il nucleo fondamentale che tutela non già l’impunità del politico (come certi commentatori vorrebbero farci credere), bensì la libertà democratica di tutti i cittadini.
La vicenda su Milanese è invece prova lampante ed emblematica che la strada che sta percorrendo il nostro paese è diversa ed è pericolosa. Perché si potrebbe pure discutere sulle responsabilità penali del parlamentare, ma è chiaro che è difficile non intravedere nel tentativo di utilizzare il voto sul suo ordine di arresto un fine banalmente politico: delegittimare la maggioranza e il Governo. Ergo, certificare ancora una volta la straordinaria capacità della giustizia di condizionare (e in modo piuttosto pesante e pregnante) gli equilibri politici di una nazione.

 

di Martino © 2011 Il Jester


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