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Il santuario della madonna dei bagni

Creato il 23 aprile 2013 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria

altareUN GIOIELLO PREZIOSO, NASCOSTO NEL CUORE VERDE DELL’UMBRIA E D’ITALIA ha festeggiato i 350 anni di vita

di padre Antonio Santantoni [email protected]

In milioni lo han visto (o intravisto) passando, ma pochi, molto pochi, lo conoscono. A migliaia ne leggono ogni giorno il nome, passando velocemente sulla grande arteria della E 45 che da Roma sale verso Ravenna e Venezia,  ma solo in pochi si fermano, cedendo a un moto di curiosità. Il nome desta qualche stupore –dei bagni – ma poi si conclude che in fondo sarà una delle migliaia di piccole chiese che punteggiano il paesaggio italiano, quello umbro in particolare. Decine, centinaia di volte si passa e si ripassa lì davanti, senza che mai si prenda il tempo per andare a vedere cosa si cela dietro quei mattoni e quello stranissimo nome. Finché un giorno…

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Finché un giorno, per qualche fortunata circostanza – un matrimonio, una festa, una gita in pullman, una giornata a zonzo senza meta precisa – l’occasione arriva. E dici: finalmente vedrò questa chiesetta cento volte snobbata; chissà cosa mi riserva?

Entri… e rimani senza fiato! Quella piccola chiesa ti si rivela per quello che è: uno scrigno, un museo, un piccolo miracolo. Sotto quell’umile tetto a capanna (lungo? mica tanto, poi!… una ventina di metri forse, o poco più) trovi perfino una piccola armoniosissima cupola contenuta tutta all’interno, fatta eccezione per la leggiadra lanterna che spunta dal crinale del tetto e da fuori ti domandi a che serve.

Architettonicamente è una croce greca inscritta in un rettangolo che in alto si risolve in un gioco di volte e nell’elegantissima cupoletta che dà luce e calore a tutto l’impianto.

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Ma non è tanto l’eleganza architettonica della chiesetta a colpire di più il turista di passaggio. Di belle chiese, piccole e grandi l’Italia è piena. Ma qui, alla Madonna del Bagno (questo il titolo filologicamente corretto del piccolo Santuario, divenuto poi, non si sa perché dei Bagni), c’è qualcosa che da nessuna parte d’Italia si incontra nella stessa misura: si tratta delle pareti interne dell’aula sacra, quasi completamente di ricoperte di formelle in ceramica di Deruta, 700 circa, un piccolo mondo con migliaia di figure umane, animali, vegetali e meccaniche, inserite nel loro contesto esistenziale – la casa, i campi, il fiume, la bottega, la prigione, la macchina, il treno, il pozzo, il campo di prigionia, la sala operatoria, la moto, la bicicletta, il terremoto, la bomba che esplode nel campo di battaglia, e si potrebbe continuare all’infinito …

È un’impressionante galleria di situazioni umane capaci di permetterci di ricostruire, come in uno straordinario spaccato su tre secoli e mezzo di storia, la realtà umana di questa piccola porzione della media valle del Tevere; quello che fanno i geologi quando ricostruiscono la storia di un territorio studiando la successione dei diversi strati di terra e di roccia su una parete di roccia naturale o espressamente tagliata a questo scopo. Più precisamente ancora, quello che in genere si ottiene con lo stesso metodo nelle ricerche archeologiche, dove a ogni strato si assegna un’età e a una civiltà grazie ai reperti trovati nei diversi strati dello scavo.

Qui abbiamo però un vantaggio: non c’è nulla da ricostruire, tutto è mostrato dal vivo. Gli abiti, gli interni delle case, il paesaggio rurale, il fiume, i riti funebri o di esorcismo, le pene della gogna e le sedie da parto; e giunti più vicino a noi, la forma delle macchine, i treni, gli aerei, la foggia degli abiti nel ‘600. nel ‘700 e fino ai nostri giorni.

Per fortuna siamo in grado di ricostruire la storia di questo piccolo prodigio che, se sorgesse in città come Assisi o Spoleto, o Perugia sarebbe certamente tra le cose più ricercate dell’Umbria. Tutto incominciò intorno al 1655, quando un merciaro di Casalina, certo Christofono, si trovo a passare per un sentiero che lo conduceva a Deruta, proprio sul limitare del bosco.

L’uomo scorse in terra un frammento di tazza da bevere, di quelle che i viandanti portavano sempre con sé nelle loro bisacce per dissetarsi alle sorgenti o alle fontane. In quel fondo di tazza era – ed è ancora visibile – una minuscola immagine della Madonna. Una Madonna seduta, con il piccolo Gesù sulle ginocchia. Ma il Bambino non è seduto, ma è colto nel momento stesso in cui egli accenna ad alzarsi sulle gambe della Madre, sorreggendo sulle mani, in un appassionato abbraccio protettivo, una sfera sormontata da una piccola croce, certamente il mondo. Toccanti gli occhi dei due personaggi, colti nell’atto di cercarsi, quasi in un muto dialogo.

Il devoto viandante, raccolse il frammento e lo fissò a una giovane quercia perché non avesse a essere calpestato da uomini, animali o carri. Un paio di anni più tardi, nel marzo del 1957, nel mese di marzo, lo stesso merciaro si trovò a ripassare davanti a quella quercia, ma il suo cuore questa volta era amareggiato: sua moglie era a letto, gravemente malata, anzi «arrivata quasi all’ultimo di sua vita». Il devoto viandante si rivolse con fede alla Vergine, chiedendole la guarigione della moglie. La sera, al suo ritorno a casa, la trovò alzata «che scopava la casa». Questo episodio, che è alla base del culto custodito in questo Santuario, ci è pervenuto grazie a due documenti coevi: la formella votiva, datata 1657 (che ricorda il fatto riproducendolo e tuttora visibile proprio a ridosso di ciò che resta della quercia) e una Historia della Madonna del Bagno, un manoscritto anonimo, di autore contemporaneo ai fatti, che si preoccupa anche di spiegarci il perché dello strano nome del Bagno: perché così si chiamava quel piccolo vocabolo di bosco tra Casalina e Deruta, a causa di una costante presenza di piccole pozze d’acqua di vena che ivi ristagnavano alquanto, prima di venir riassorbite dal terreno.

La notizia del miracolo s’era diffusa in un baleno. Da tutto il circondario vennero pellegrini a chiedere grazie alla minuscola Madonnina. Fu celebrato un processo per esaminare il caso e si concluse con il riconoscimento della sua veridicità e con l’autorizzazione alla costruzione di un’edicola. Il 4 settembre del 1957 fu posta la prima pietra. Nel giro di poche settimane l’oratorio era pronto: la cappellina era sorta attorno alla quercia, facendone il suo centro e la sua reliquia. Ai piedi della quercia, l’altare. Trenta anni più tardi era pronta la nuova chiesa (l’attuale), più grande. La cappellina originaria, con opportuni adattamenti, divenne il presbiterio della nuova. La giovane quercia, ormai scheletrita, ne era rimasta il cuore. Dai suoi rami pende ancora il “coccetto” originale.

Il culto del Santuario vive principalmente di due momenti:

domenica-lunedì-martedì di Pasqua è la festa popolare con processioni e grande concorso di popolo;

l’8 settembre è la festa liturgica del Santuario, con una celebrazione serale e processione aux flambeaux

Per informazioni: Custode tel. 075 97.34.55 - Rettore tel. 075 97.24.232

 



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