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Il secolo breve di un cronista

Creato il 07 luglio 2012 da Casarrubea
Aurelio Bruno (anni '50-foto Randazzo)

Aurelio Bruno (anni ’50-foto Randazzo)

Aurelio Bruno ha da poco compiuto novant’anni. Cosa vuol dire arrivare a quell’ età dopo aver trascorso una vita come la sua? Vuol dire che, dal 1940, hai attraversato la storia con i tuoi occhi e  la storia ti ha attraversato con il suo spirito eterno. Quando arrivi a 90 anni puoi prenderti la libertà di tirare le somme di quell’ unione fra l’ individuo e tutte le altre verità.

Puoi analizzare i fatti che non hai potuto raccontare, per mancanza di tempo, o di spazio, o di interesse generale, e puoi persino lasciarti andare ai rimpianti per ciò che avresti potuto raccontare, o per ciò che in quel momento pur essendo davanti ai tuoi occhi, ti era sfuggito. Magari perchè era giusto così. Quando arrivi a 90 anni dopo una vita di inchieste, di cronaca e di storie raccontate o mai raccontate, puoi concederti il lusso di riflettere sulla paura, e puoi raccontare quella paura da cui hai imparato tanto, solo a quei pochissimi che sanno come condividerla con te. Con quelli che sanno che le cose di cui avere paura sono proprio quelle che non vanno dette a parole, che non vanno denunciate e che la tua decisione di non raccontarle non ha niente a che vedere con il concetto di omertà.

Ma quando novant’ anni non ce li hai, quando sei dentro alla storia e la storia ti sta attraversando, su tutto questo non hai possibilità di riflettere.

Quando Aurelio Bruno ha cominciato a lavorare da cronista era il 1940.

Questo vuol dire che ad oggi, la città di Palermo vanta un testimone, che tale è stato per mestiere, per passione e per forza, al di là dell’ articolo, dell’ inchiesta, del servizio da esercitare per la sopravvivenza. I palermitani sono affezionati ai loro cronisti: li ricordano tutti, nel bene e nel male. Soprattutto quelli che hanno pagato con la vita il loro impegno giornalistico affinchè la memoria di un popolo non affondasse nell’ ignominia. Ne portano ancora le ferite aperte, che bruciano come fossero appartenute ad un consanguineo. L’ intuito dei cronisti che lavoravano a Palermo finiva sempre all’ unisono con quello di tutti gli altri cittadini onesti. Ed anche con quello dei cittadini che tali non potevano apparire. Almeno lo è stato fino ad un certo punto. Molti di loro hanno perso la vita perchè spesso, anche in periodi diversi si sono occupati di fatti affini fra di loro. La gente si fidava dei suoi cronisti, perchè ne riconosceva l’ anima profonda: quella di chi non ha alcuna intenzione di lasciare che il resto del mondo pensi di questo popolo solo ciò che fa comodo al resto del mondo. Quando questo mestiere lo si faceva con onestà, fra la professione e la propria vita non c’ era differenza. E chiedersi il perchè delle cose era un dovere, oltre che un diritto. Quando questo mestiere lo si faceva con onestà, lo si faceva perchè, al di là della tua ideologia politica, le cose storte erano storte sempre allo stesso modo e, indagarle arrivando magari ad una seppur minima conclusione, era quello, l’ importante. Magari cambiava ciò che decidevi di raccontare. Ciò che avevi esperito, invece, rimaneva. E di certo, era tanto di più delle poche parole di un articolo.

Aurelio Bruno ha vissuto da uomo e da cronista lo sbarco degli alleati, la nascita della Repubblica Italiana, la strage di Portella della Ginestra, l’ assassinio di Pietro Scaglione, di Boris Giuliano, di Pio La Torre, di  Mauro de Mauro, di Enrico Mattei, di Pier Paolo Pasolini, di Mario Francese, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, per citare solo alcuni dei personaggi e dei fatti ad essi collaterali che hanno attraversato la storia di questa città da vicino e dell’ Italia intera indirettamente. Senza contare poi le guerre fra gli svariati clan mafiosi, gli eventi messi lì negli anni per occultare verità ben più gravi e tutt’ oggi in gran parte sconosciute nei fatti, ma da sempre intuibili. 72 anni di lavoro in cui, in realtà le risposte al presente trovano solide risposte nel passato anche parecchio remoto, e dove il futuro possibile ha già tutte le soluzioni in ciò che è già accaduto ma che non è mai stato raccontato. Come le mille e mille verità che una grande memoria umana vivente può ancora contribuire a rilevare.


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