Sottoposto allo stress costante delle scivolate di senso, l’animo saturnino si riduce ad un primordiale cogito ergo sum di cartesiana memoria. Il suo paesaggio è preso a prestito dalle tele di Friederich; la sua temperatura cromatica registra variazioni misurate col senso della vertigine; il silenzio della sua ambizione metafisica potrebbe ricordare il sonno di Dio ad Auschwitz[1].
È assai difficile penetrare il senso quotidiano di quell’animo così poco à la page ai giorni nostri che è per l’appunto l’animo saturnino[2]. Eppure si conservano dei vezzi, delle abitudini, dei piccoli – personalissimi – riti attraverso i quali il segno di Saturno dà manifestazione di sé nel dispiegarsi, ticchettio dopo ticchettio, del tempo in questa dimensione a tre coordinate[3], e cerca, tentativo dopo tentativo, conscio che bisogna fare il possibile pur sapendo che è assolutamente inutile, di costruire un senso – quantomeno – estetico al proprio rivoltarsi.
Le riproduzioni di Schiele appese in bagno, dentro a semplici cornici che lasciano in scena soltanto i corpi legnosi del giovane austriaco. Il tè edoardiano rigorosamente sorseggiato quando sul display dell’orologio elettrico da parete si compone l’ora più adatta: le 17,17. I richiami preraffaelliti nella cura delle mani. E su tutto il silenzio, vero e proprio varco attraverso il quale si riesce ad accedere ad una realtà altra, ad una diversa topografia delle sensazioni, ad un inedito approccio al panorama morale[4].
Il saturnino si perde, anche da fermo, anche in un luogo che non potrebbe conoscere meglio, anche nella sua stessa memoria. Il saturnino è un flâneur[5], figura che ha il suo archetipo in quel “malinconico così splendidamente consapevole” che è Baudelaire visto attraverso gli occhi e le lenti di quello strano personaggio, evanescente come un angelo sempre alla ricerca di un argomento su cui proiettare i suoi temi, che è Walter Benjamin[6]. Lo ha fatto in maniera non organica, in un’opera non completata, costruita per frammenti: I passages di Parigi, un testo dove le fonti hanno sono in primo piano e la teoria, l’interpretazione sono soltanto un corollario.
Il saturnino libera i fantasmi della sua mente e li distende intorno a sé come fossero dei complementi d’arredo; li lascia vivere, li ascolta, ne è sedotto e ne ha timore perché possono soverchiarlo come i troppi libri sul comodino, i troppi appunti su carta riciclata, i troppi personaggi su cui proietta i suoi temi e attraverso i quali cerca di fuggire dall’oppressione del reale che coi suoi tempi storicizzati, le sue richiesta di pragmatismo, la sua omologazione al concetto unico di autenticità schiaccia, opprime i polmoni, altera il respiro, modifica la struttura molecolare dell’ossigeno dentro le vene: obbliga l’essere umano ad uno schema rigido, privo di elasticità, lo rende impermeabile.
Dunque, per chi vive sotto l’impronta del sesto pianeta del sistema solare, vale l’epitaffio che Sartre diede a Baudelaire, e cioè che “non ha avuto la vita che meritava”? Sempre per muoversi all’interno dell’immaginazione del poeta maledetto: il saturnino non è altro che un eautontimorumenos[7]? Sono accettabili, o quantomeno tollerabili, allo spegnersi degli anni zero, lo sguardo cupo, il silenzio, i rifugi farmacologici, gli incubi drappeggiati come le tende del soggiorno, del saturnino di turno?
L’umore cupo ai giorni nostri va nascosto, occultato, sottratto alla dimensione pubblica. Il linguaggio comune delle conversazioni da intrattenimento non ci fornisce nessun repertorio pronto all’utilizzo di circostanza. La socialità mediata dalla rete al massimo ci consente di farci scudo con ironia e sarcasmo, di indossare la maschera del cinismo opportunamente sistemata per mostrare comunque un sorriso, anche se soltanto in una prospettiva laterale e distorta. L’individualità deve essere improntata all’ottimismo e il tragico ha solo vesti politiche su coordinate mondiali, così ampie che sembrano sfuggire al sentire giornaliero mentre al mattino prepari il caffè e una qualsiasi smorfia sul tuo viso deve essere ricalibrata per renderla gestibile e non dissonante.Oggi, con buona pace dei coniugi Wittkowe, assistiamo alla completa trasformazione dell’artista, sia escatologica che merceologica: l’artista non si perde più, non può concedersi il lusso di inibire la forza di gravità e perdere i contatti con la concretezza di cui il prodotto artistico necessita dalla sua concezione alla sua immissione nel mercato[8]. Tutto il resto è paccottiglia di un repertorio mitologico travolto dall’eruzione di: postmoderno, fine della storia, onnipotenza del sapere scientifico, anticipazioni del futuro in presa diretta, machiavellismo manualistico come nuova regola aurea[9].
L’artista dei nostri giorni, che si muove sulle stesse nostre contrade, che utilizza la nostra stessa linea della metro o diventa giullare e ripesca e si riappropria dell’antica arte del narrare, immune da qualsiasi sovrastruttura letteraria/editoriale, trasformandosi in un quasi saggio, una sorta di santone che non ha avuto bisogno di nascere e crescere in India per raggiungere il suo livello di conoscenza dall’interno delle cose; oppure è inesorabilmente un engagée, e anche in questa accezione ci si appropria di una immagine non nuova, pescata con facilità all’interno di quel fiume fluido e ricco di emissari che è stato il Novecento. Il primo monta le voci che sembrano autonome e archetipiche, accesso preferenziale ad una condizione umana talmente abusata da essere passata da luogo comune al modernariato di prestigio. Il secondo si esercita con dei giochi combinatori di sentenze e statistiche Censis ricollocate con un approccio preso a prestito dalla narratologia televisiva americana[10].
Eppure Saturno ci manca. A mancarci è soprattutto quel senso dell’individualità personalissima, un abito privato che anche in pubblico riusciva a dire qualcosa, un suo aggettivo lasciato andare che prendeva percorsi suoi e solo suoi[11], ma che a volte riescono ad ordire una trama dai risultati impareggiabili, non previsti, addirittura non auspicabili se il risultato dovesse comportare una totale messa in discussione del piano vendite. A mancarci è quindi la merda fuori dal vaso, che solo il saturnino sa fare[12].
[1] Ispirazioni/suggestioni bigliografiche: Nati sotto Saturno, Rudolf e Margot Wittkowe, Einaudi; Sotto il segno di Saturno, Susan Sontag, Einaudi; Infanzia berlinese, Walter Benjamin, Einaudi; Baudelaire, Jean-Paul Sartre, Mondadori; L’esperienza del dolore, Salvatore Natoli, Feltrinelli.
[2] Si preferisce il richiamo alla tradizione astrologica che ha un che di evocativo, di sfuggente, di impenatrabilità dovuta alla gelida distanza e alla molteplicità dell’approccio interpretativo, a scapito di una terminologia moderna che ci porterebbe nei territori clinici della psichiatria e degli stadi altalenanti, e più o meno debilitanti in senso patologico, della depressione.
[3] Qui c’è Christian Boltanski, ascoltatene il suono: è una delle sue installazioni; il tempo marcia, l’eco dei ticchettii si infrange contro i contorni oscuri di quelle tante vecchie foto che penzolano dall’alto.
[4] Il silenzio, ovviamente, presuppone una condizione di partenza fondamentale: la solitudine; la stessa“che trascina il mondo nel suo vortice,” diceva Proust. A proposito di Proust: una (la?) delle più grandi poetesse attualmente in circolazione, Patrizia Valduga, ha curato Breviario proustiano, raccolta di aforismi, massime, sentenze estrapolate dalle pagine della Recherche e montate in ordine tematico.
[5] Per un escursus sul flâneur si rimanda a Lo sguardo vagabondo, Giampaolo Nuvolati, Il Mulino. Se invece si vuole vedere un approccio all’opera, un vero e proprio esercizio tra l’altro messo in pratica nella madrepatria, Parigi, si rimanda a Il flâneur, Edmund White, Guanda
[6] Proprio Benjamin scriveva di sé: “Sono venuto al mondo sotto il segno di Saturno, la stella più lenta, il pianeta delle deviazioni e dei ritardi...”
[7] Non sono forse un falso accordo nella / divina sinfonia, grazie all’edace / Ironia che mi scuote e che mi morde?Charles Baudelaire, traduzione di Luigi de Nardis.
[8] Non scrivo un storia che non ha salde radici nel mio tempo. Non posso concepire uno stile che mi ponga al di là delle sfere di comprendonio della lingua commercialmente più condivisibile. Non ci sono speranze oltre le colonne d’ercole del mercato. La creatività è un atto standardizzato.
[9] Gli anni ’80 sono stati anni di restaurazione? Oltre alle attività extraparlamentari e alle ispirazioni avanguardistiche, è scomparso anche il senso meta-testuale? Amalia Rosselli è stata l’ultima poetessa suicida? Solo negli anni ’60 Edoardo Sanguineti poteva attaccare ad un suo libro la fascetta dada che recitava: “in ogni città d’Italia c’è un poeta disposto a morire per Sanguineti”.
[10] Il primo a dire che la narrativa si trovava strumentalmente indietro rispetto al cinema è stato Alessandro Baricco dopo la visione dei primi 8 minuti di proiezione di Natural Born Killers di Oliver Stone.
[11] Come la pallina di DeLillo in Underworld.
[12]Avete pensato al parallelo figurato con il lavoro di Piero Manzoni che sacralizza e deride la sua arte nello stesso gesto, ma nel contempo cede e vende una parte di sé?
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