Buzzati ci racconta la storia del colonnello Sebastiano Proclo, che, dopo la morte del Morro, ottiene in eredità la tenuta di Bosco Vecchio, senza però beneficiare della sua parte migliore, riservata al nipote Benvenuto, di cui Sebastiano è tutore, ma che vive in un collegio. Proclo vorrebbe sfruttare la foresta, tagliare gli alberi e vendere la legna, spianare il terreno, ma si trova improvvisamente in lotta con i geni che la abitano, nascondendosi negli alberi e assumendo, a loro piacimento, le sembianze di piante, animali o esseri umani, come Bernardi, che fa di tutto per distogliere il colonnello dal suo piano e per difendere, assieme alle altre creature della foresta, il piccolo Benvenuto che, come tutti i bambini, ha con il bosco un rapporto speciale. Proclo ha dalla sua il vento Matteo, rancoroso dopo anni di prigionia cui l'hanno costretto i geni stanchi delle sue angherie, ma Benvenuto, che pure non si rende conto delle macchinazioni dello zio contro di lui, gode della simpatia di tutti gli animali, sa ascoltare il canto della foresta e può contare sul benefico vento Evaristo, che contrasta Matteo e divulga costantemente il bollettino del bosco.
L'aspetto allegorico della favola è molto semplice, ma non per questo meno incisivo. Sebastiano Proclo, insensibile alla vitalità e alle voci del Bosco Vecchio e quindi astioso verso Benvenuto che ne gode pienamente, rappresenta gli adulti che, crescendo, dimenticano di colpo il legame con la natura e la capacità di stupirsi di ogni sua trasformazione: l'ombra che, di fronte al suo comportamento malvagio, abbandona il colonnello è il simbolo di un'anima dannata che ha rinnegato l'istinto vitale e benevolo che crea armonia fra gli esseri viventi. Dall'altra parte c'è Benvenuto, ammesso alle feste nel bosco e a partecipare ai canti gioiosi che, invece, si quietano improvvisamente all'arrivo dello zio. Nel rapporto burrascoso fra Proclo e il nipote si nota un conflitto generazionale, una lotta esistenziale fra l'ingenuità e la purezza dell'infanzia e la corruzione dell'età adulta, che non concede il minimo spazio al sentimento, ma cerca solo l'immediato profitto e vuole portare a termine i propri progetti senza guardare in faccia nessuno. Il segreto del Bosco Vecchio è, dunque, un invito a riscoprire la parte più intima e genuina nascosta in noi, alla ricerca del piccolo Benvenuto che può aiutarci a ristabilire, o, almeno, a ricordare l'entusiasmo con cui da fanciulli sapevamo guardare alla vita. Come scrive Claudio Toscani nella breve prefazione dell'edizione Mondadori (che a ben guardare sembra più una postfazione e che, quindi, suggerisco di leggere solo dopo il romanzo per evitare spoiler), «il fantastico di Buzzati è un inno all'infanzia, uno spazio di libertà dove abita il desiderio di capire il mistero, l'ignoto, il plausibile».
Buzzati ci regala, con Il segreto del Bosco Vecchio, una storia per tutti, bambini che vogliono sognare e adulti che desiderano tornare fanciulli, ma comprendere con la loro maturità il profondo significato dell'essere bambini.
«Sei un buon figliolo» gli disse il Bernardi, mettendogli la destra su di una spalla; «peccato che anche tu te n'andrai e non ci potremo più vedere.»C.M.
«Andrò dove? Mi vogliono mandar via?»
«No, non è questo. Ma anche tu un ben giorno non ti farai più vedere e, anche se tornerai, non sarà più la stessa cosa.»