di Giuseppe Casarrubea
I pastorelli di Fatima ( (Portogallo, 1917)
La recente scoperta, dovuta a Mario J. Cereghino e al nostro Archivio storico, di alcuni rilevanti documenti sui giorni che precedettero l’elezione a papa di Karol Wojtyla, sollecita nuove riflessioni su quello che di fatto fu l’incipiente autunno dei tre papi. L’anno è il 1978, già inciso a caratteri di fuoco dal sequestro dell’onorevole Aldo Moro, dalla strage di via Fani e dalla barbara “esecuzione” del grande statista democristiano.
Un anno inquieto il 1978, di incubi e terrori, di apprensioni e insofferenze. Soprattutto del mondo cattolico. Dopo la morte di Giovan Battista Montini (Paolo VI), l’amico di Moro appena assassinato dalle cosiddette Brigate Rosse, molti ambienti gravitanti attorno al Palazzo Apostolico, o già attivi al suo interno, si dimostrano, più di prima, insofferenti alle costrizioni dei modelli dominanti nell’Europa dell’Est, o in altre parti del mondo. Entrano in una sorta di fibrillazione, alla ricerca del binario giusto su cui avviare la politica della Santa Sede. Un indirizzo meno fragile e imbrigliato verso il quale far marciare non solo la lotta contro il comunismo, ma anche le più generali scelte di modelli di società non vincolanti come quelli dei Paesi dell’Est, Unione sovietica in testa. Sono rigidi e forse la reciproca tolleranza tra le parti in causa entra definitivamente in crisi. Fino a una rottura sottile, inespressa, ma palpabile attraverso i fatti.
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Perciò la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno di quel fatidico 1978 segna una svolta. E il Vaticano, come abbiamo visto attraverso i documenti del post “L’anno dei tre papi”, ne registra la crisi profonda. Da agosto a settembre muoiono, uno dopo l’altro, due papi: il primo è il vecchio Montini, formatosi alla scuola di Pio XII, ma carico di tutta l’esperienza del Concilio ecumenico Vaticano II di Giovanni XXIII, l’altro è Albino Luciani. Quest’ultimo, eletto papa il 26 agosto 1978, assume il nome di Giovanni Paolo I. Fa appena in tempo a dimostrare il suo atteggiamento decisionista e intransigente, pur nella sua profonda umiltà, che muore improvvisamente, dopo appena 33 giorni dalla sua elezione, il 28 settembre. E’ a questo punto che la Santa Sede e il mondo che vi ruota attorno manifestano una frenesia non più conosciuta da tempo. L’ansia di fondo si è mantenuta identica a se stessa tra i crepuscoli di due secoli: il XIX° e il XX°. Per comprenderne il senso bisogna considerare che nel XX° secolo si avvicendano molti papi. Ciascuno di loro esercita una sua azione. Sono tutti di grande rilievo storico e sociale. Perchè la storia imprime dei segni indelebili all’esistenza degli uomini dell’intero pianeta. Dal decollo industriale della fine dell’Ottocento allo scoppio della Grande Guerra; dalla nascita dei Soviet e dell’Urss al loro definitivo tracollo.
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Leone XIII, con un pontificato di venticinque anni (1878-1903), chiude un secolo e ne apre un altro. E’ il papa della Rerum Novarum, che getta uno sguardo sul mondo e sulla realtà degli uomini. Il suo terminale è Giovanni Paolo II (Carol Wojtyla), il più duraturo tra i papi del XX° secolo, con circa ventisette anni di pontificato (1978-2005). Un papa che imprime la maggiore dinamicità sociale alla Santa Sede, imponendosi su due piani inediti: la comunicazione massmediale su scala planetaria, e l’azione sociale sul piano delle vicende politiche e degli equilibri degli Stati. Soprattutto a partire dalla nascita di Solidarnosc, e dalla messa in discusssione indiretta dei modelli dell’Europa orientale.
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Papa Giovanni Paolo II
Per durata, il pontificato di Wojtyla supera di gran lunga quello di Paolo VI (1963-1978). Si colloca tra due papati che potremmo definire di transizione: il tempo inusualmente breve di Giovanni Paolo I (Albino Luciani), e il tempo di papa Ratzinger. La loro transitorietà deriva da una certa marginalità apparente. Non certo reale, perchè nessun papa può essere considerato in una sorta di graduatoria compilata sulla base di preferenze personali o politiche, di durata nel tempo o di azioni svolte. Ma entrambi appaiono privi di quella efficacia innovativa che ebbe invece il pontificato di Wojtyla, sul piano degli effetti della sua azione e delle modalità con cui si manifestarono l’innovazione dell’impianto della comunicazione e la spregiudicatezza degli inteventi ritenuti idonei a raggiungere lo scopo. Cioè l’abolizione del comunismo. Cosa che non era riuscita bene a papa Pacelli (Pio XII) costretto dalla sua situazione storica a ritenere che solo il nazismo avrebbe potuto sconfiggere il grande mostro sovietico. Si tratta di uno scontro nuovo, di tipo rivoluzionario, nel senso preciso che, questa volta, si trovano uomini in carne e ossa e rappresentanti degli Stati oppressivi. Non tanto le politiche dei vertici statali, Vaticano incluso. Esempio di questa spregiudicatezza saranno, a un paio d’anni dalla elezione di Woytila, alcuni personaggi del mondo finanziario. Dal cardinale Marcinkus, presidente dello Ior, la banca del Vaticano, a Roberto Calvi. Il primo certamente un acerrimo nemico di papa Luciani.; il secondo presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato sul ponte dei “Frati neri” a Londra, il 17 giugno 1982. Una corruzione che varca i limiti del crollo del muro di Berlino e del crollo dell’Urss e dei Paesi satelliti, e arriva alla frammentazione nazionalistica, alla “privatizzazione” degli Stati e della politica. Per non farla lunga basti pensare al Montenegro, a ciò che rappresenta Djukanovic, ritenuto il capo di una cupola finanziaria e mafiosa fondata sul traffico di droga, armi e tabacchi di contrabbando. Basti pensare ai suoi rapporti con l’Italia e a ciò che rappresentano nel nostro Paese i nuovi Eldoradi degli ex Paesi dell’Est.
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Il 28 ottobre 2008 Lech Walesa, l’ex leader di Solidarnosc, è seduto davanti al pubblico ministero di Roma, Luca Tescaroli. Deve dire la verità sui finanziamenti avuti dallo Ior e da Calvi. Anche perchè nelle lettere di questo oscuro personaggio, trovate dopo la sua uccisione, c’ è scritto che il banchiere ha finanziato il sindacato Solidarnosc con oltre mille milioni di dollari. Walesa non esclude qualche contatto di Calvi con il suo ex sindacato, ma deve difendere la sua storia. Ammette pure diversi punti di contatto tra il Vaticano e e la base organizzata del suo sindacato. Insomma lascia intendere. Più che dire in modo esplicito, procede con reticenze. Vuole salvare se stesso. In parte tale atteggiamento è comprensibile. E’ un vigilato speciale dei Servizi di Intelligence polacchi e sovietici; ha poche possibilità di agire liberamente. E’ semplicemente logico desumere che egli abbia lasciato agire la periferia piuttosto che muoversi in prima persona, accentrando. E’ certo sincero quando dice, come afferma il giornalista Francesco Viviano: “La Chiesa si identificava con la nostra lotta”. Perchè questo è il punto. Cioè il fatto che tale identificazione produce un effetto valanga nella richiesta del rispetto dei diritti fondamentali quali: le libertà di espressione, di culto, l’esercizio dei diritti inalienabili degli esseri umani. Ma questa è un’attenzione che presso la Santa Sede ha una storia lunga. Non si pone con Pio IX per le questioni obiettive dello scontro aperto e armato tra Stato e Chiesa. Insorge come problema con Leone XIII e si afferma nei decenni successivi seguendo una linea sempre più adeguata alle condizioni della società contemporanea. Non per nulla il terzo segreto di Fatima è disvelato nel 1944 sotto il pontificato di Pio XII, il papa più anticomumista della storia. Un segreto unico che si snoda, però, nel tempo, dalla sua prima nascita nel 1917 fino all’epilogo finale dell’autoavveramento della profezia, lungo un quasi secolare effetto Pigmalione.
Fino a Giovanni XXIII (Angelo Roncalli, 1958-1963), il papa del Concilio. E oltre.
Giovanni XXIII, il papa del Concilio
Pio X è il papa della Rinascita e degli inizi del nuovo secolo (1903-1914). La sua attività cessa, non a caso, con l’inizio della Grande Guerra di cui è acerrimo nemico il suo successore, Benedetto XV (1914-1922). Figura di cui si sono perse le tracce e di cui nessuno, da quanto se ne sa, propone la beatificazione. Egli condanna il conflitto mondiale appena aperto, chiede ai governanti del mondo di far tacere le armi e definisce la guerra come «inutile strage», «suicidio dell’Europa civile». La sua è una politica che si muove nella direzione dell’uscita dal conflitto mondiale, sostanzialmente voluto dall’imperialismo internazionale. Quella di Benedetto XV è una figura molto significativa e radicata in quella che era la cultura liberale del primo quindicennio del XX° secolo, lontana dagli spiriti nazionalistici e attenta più alla Chiesa con le sue grandi missioni per l’uomo che agli aspetti politici. E’ durante il suo pontificato che esplode, irruenta sulle coscienze del mondo cattolico universale, la storia di Fatima.
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Pio XI
Una storia che attecchisce bene all’estrema periferia dell’Impero i cui effetti si svilupperanno in modo costante e sempre più marcato durante il popato di Pio XI (Achille Ratti, 1922-1939). Il papa che suo malgrado vedrà nascere il fascismo e il nazismo, segue da vicino le questioni legate al conflitto con i sovietici. A lui si deve l’insorgenza della convinzione che il pericolo principale della Chiesa cattolica sia il bolscevismo, ma che sia necessario per i cattolici combattere oltre al comunismo anche il nazismo. Una condizione di equidistanza che non sembra sia stata mantenuta dal principe Eugenio Pacelli, e cioè papa Pio XII (1939-1958). La caratteristica di quest’ultimo è di accettare, forse obtorto collo, una certa acquiescenza nei confronti del nazismo in quanto indispensabile alla lotta contro il pericolo “rosso”. Questo atteggiamento è dovuto anche alla sua formazione lungo l’intero percorso della fase esplosiva del nazismo in Europa fino al suo tracollo (1939-1945). Ma ha effetti negli anni successivi in quanto in Italia la saldatura tra fascismo e clericalismo è destinata a durare per diversi decenni dopo la stessa fine della guerra.
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In conclusione, da Leone XIII a Ratzinger si può dire che tutti i papi hanno fatto o negato, a modo loro , il senso della politica. Il principe Pacelli non sarebbe esistito come papa senza i suoi predecessori. E’ il capo di una Chiesa messo al suo posto in un momento giusto. Quello, cioè, in cui, anche per le sue condizioni di classe, può meglio trattare i rapporti con l’aristocrazia nera tedesca e affrontare da un lato l’antisemitismo di Mussolini, dall’altro un capo diabolico come Hitler. Ha il limite della resistenza alla denuncia del male che gli si rappresenta sotto gli occhi e di tacere, in modo machiavellico, quando avrebbe dovuto gridare contro la guerra, come aveva fatto Benedetto XV. In questo senso possiamo dire che, come capo della Chiesa, è un po’ lontano dall’esempio di Pietro che, per testimoniare Cristo, si fa ammazzare, crocifiggere e mettere sottosopra.
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Bianca Penco
Quando nel 1938 Mussolini emana le leggi razziali, l’opinione pubblica, specie nel mondo cattolico, è divisa. Soprattutto perchè Pio XI è apertamente ostile a queste leggi e, anzi, prepara dei documenti adeguati che avrebbe voluto rendere di pubblico dominio. Non fa in tempo perchè papa Ratti è stroncato da un “infarto” la sera del 10 febbraio 1939. Alla sua morte, Pacelli, come Camerlengo, si occupa delle incombenze necessarie. Stando ad alcune testimonianze ordina anche che le copie del discorso predisposto da Pio XI siano distrutte assieme ai caratteri di piombo necessari a stamparlo. E’ doveroso, quindi, il sospetto che Pacelli abbia censurato il suo predecessore e si sia mosso, per questo aspetto, contro la sua volontà. Pochi giorni dopo fè eletto papa. «Quando sapemmo dell’improvvisa morte alla vigilia del discorso – sostiene la professoressa Bianca Penco, all’epoca vicepresidente della Fuci nazionale tra il 1939 e il 1941 e poi con Giulio Andreotti, presidente – ci angosciò il pensiero che fosse stata provocata. Alle nostre insistenti richieste di spiegazioni e chiarimenti sul documento che avevamo avuto il privilegio di vedere in anteprima, ci fu risposto che non si trovava alcuno scritto”. Da quanto detto si può capire che nei confronti degli ebrei Pio XII umanamente li capiva, ma di fatto non nutriva grandi simpatie. Ma questo non è l’unico limite del papa principe. Gli Alleati ai suoi tempi, non erano solo gli Angloamericani, ma anche i Sovietici. Senza queste tre potenze mondiali le sorti del conflitto sarebbero state molto diverse e noi avremmo un’Europa dominata dal nazifascismo. Gli Alleati, nella loro solidale lotta contro il nazifascismo, sacrificarono milioni di vite umane per sconfiggerlo e le risorse economiche e tecnologiche da loro impiegate sono incalcolabili. L’anticomunismo viscerale di Pio XII, tuttavia, non è un fatto incoerente nella storia della Chiesa. Corre parallelo ad una storia contrapposta che ha al suo centro il catastrofismo dovuto a un mondo invaso dall’”infezione bolscevica”. Una storia sotterranea da manuale di intelligence per la propaganda occulta ante litteram.
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Quanto le vicende italiane abbiano pesato nelle scelte della politica ecumenica del Vaticano non è facile a dirsi, come è difficile spiegare il diverso sviluppo di fatti, accaduti in altri Paesi in un tempo assai duro per le sorti dell’Europa, quale fu quello della Grande Guerra, tra il 1915 e il 1918. Del resto su molti di questi fatti non ci sono stati altri organi di controllo e di valutazione che non fossero quelli della Chiesa. Queste o altre analoghe vicende, hanno avuto una notevole influenza nel determinare le sorti della politica italiana e del mondo intero. La presenza dello Stato del Vaticano sul territorio della penisola ha fatto, nei secoli, del nostro Paese il crocevia di interessi internazionali, degli Stati e dei loro servizi di Intelligence.
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La storia dei Segreti di Fatima è la radice primordiale della biografia spirituale e politico-ideologica di papa Giovanni Paolo II, terminale, come abbiamo detto, di un discorso iniziato da lontano. La vicenda ha una data di origine precisa: il 13 maggio 1917, quando la Madonna appare a tre “pastorelli” di Fatima. Sono Lucia dos Santos di 10 anni, Francisco e Giacinta Marto, rispettivamente di 9 e di 7 anni: un gruppo di bambini che hanno tra di loro rapporti familiari molto stretti. Aiutano ogni giorno le loro famiglie portando al pascolo le pecore. Vivono in un villaggio di poche case, ad Aljustrel, una località vicina al villaggio di Fatima, in Portogallo. Attorno lalle poche case sparse per la campagna si vedono luoghi suggestivi dove i tre bambini si spingono ogni giorno con le loro pecore. Sono lande sperdute e deserte come Valinhos, Loca do Cabeco, Cova da Iria. I luoghi delle apparizioni. C’è anche un numero che ricorre spesso in questa storia. E’ il numero tre. Tre i pastorelli, tre le apparizioni dell’angelo, tre i segreti di Fatima svelati a quei bambini dalla Vergine, tre i papi che preparano direttamente o indirettamente la chiusura di questa storia, iniziata cent’anni prima.
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Fatima è un’unica rivelazione, per i cattolici. Ma, come spesso accade, specie nei misteri, questa storia rinvia sempre a immaginari collettivi e fantasmatici futuri per cui quell’unica e unitaria manifestazione divina si scinde in tre, rinviando di volta in volta a un mistero successivo da svelare. Fino al compimento del miracolo. La morte del comunismo. Possiamo allora dire che Fatima nasce, come fenomeno storicamente spiegabile, con un Portogallo in grave crisi economica, già da un anno in guerra e con un sensibile sommovimento anticlericale negli anni a cavallo della Rivoluzione d’ottobre. Di converso possiamo anche dire che nasce come risposta ai venti rivoluzionari in senso comunista per chiudersi con il crollo e la scomparsa dell’Urss, nel 1991.
La Grande Guerra è in pieno svolgimento e nella Russia zarista si fanno avanti, con forza inaudita, le idee del comunismo predicate da Wladimir Lenin. C’è aria di cambiamento in giro. Nel luglio di quell’anno una prima azione rivoluzionaria di quello che sarà il padre fondatore della Rivoluzione d’ottobre, fallisce miseramente. Ma la comparsa ai tre pastorelli è appena avvenuta. E’ una delle rotaie che formerà il binario con le vicende del comunismo mondiale fino alla sua crisi irreversibile. Possiamo dire che la nascita e la fine dei misteri di Fatima, è coincidente con la nascita e il tramonto del comunismo. Almeno quello europeo legato al modello sovietico. Un fenomeno tutto interno al nostro vecchio continente.
Per saperne di più sui misteri di Fatima si rinvia ai documenti della Congregazione per la dottrina della Fede:
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE FATIMA
o ai materiali contenuti di seguito: