Il seminatore Bonanni

Da Brunougolini
Il titolo (“Il tempo della semina”, Boroli editore) potrebbe far pensare a un manuale evangelico, poi in copertina  la grande faccia sorridente di Raffaele Bonanni fa capire che non si tratta di un dialogo tra ecclesiasti. E’ la storia del segretario generale della Cisl raccolta da un affermato giornalista, Lodovico Festa. E’, in fondo, un dialogo tra due ex. Il primo era, negli anni 70, un dirigente del riformista Pci di Milano, oggi impegnato a difendere, non senza acume, le sorti del centrodestra.  Il secondo (nonni socialisti, padre comunista) prima dirigente della Cgil tra gli edili della Val di Sangro in Abruzzo, poi passato alla Cisl perché il sindacato allora diretto da Luciano Lama non gli riconosceva meriti e qualità. Con una carriera incessante, sostenuta in particolare da Sergio D’Antoni: segretario regionale, segretario nazionale degli edili, in segreteria confederale accanto (ma non proprio amico) a Savino Pezzotta.   Il libro mostra la voglia di dimostrare come la sua attuale politica affondi le radici nella cultura della Cisl. Quella di Pastore, ma anche di Storti,  Macario, Carniti, Marini.
Eppure la sua Cisl, a un osservatore esterno, appare assai diversa dalla Cisl del passato, ricca di fermenti innovativi, aperta a un dibattito fecondo, mai prigioniera di un monolitismo impenetrabile. Era una Cisl gelosa di una propria autonomia. Oggi, invece, scomparsi i partiti di riferimento, essa può apparire, almeno nel senso comune, come un perno fondamentale dell’operato del morente governo di centrodestra. Almeno così finiscono col dipingerla gli stessi esponenti governativi. Sospetti pretestuosi? Avvalorati dal fato che anche nel libro traspira un certo malumore ad esempio nei confronti del centrosinistra gestito da Romano Prodi, accusato di troppa sintonia con Guglielmo Epifani.  E’ resta singolare, a questo proposito, il fatto che siano state fatte tante inchieste sul voto degli iscritti alla Fiom e alla Cgil e sulle loro non scarse preferenze magari per partiti come la Lega al Nord mentre tutto tace sugli orientamenti degli iscritti alla Cisl (e alla Uil).
Un racconto un po’ saltellante, nei suoi andirivieni, quello di Festa-Bonanni, ma ricco di argomentazioni. Una tesi, davvero poco convincente, percorre il libro e dipinge una situazione italiana pressoché miracolosa.  I lavoratori italiani vivrebbero una situazione “tutt’altro che negativa” avendo governato “una crisi durissima senza perdere i nervi”. E’ vero che i lavoratori non si sono fatti saltare i nervi, anche se spesso hanno scioperato con la Cgil, ma per molti di loro (col posto fisso o precari) non è stata vita facile. E’ vero che sono stati salvati molti posti di lavoro (con accordi firmati anche dai facinorosi della Fiom) ma  i drammi sono stati estesi e non sono finiti. L’allarme non viene del resto solo dall’organizzazione oggi guidata da Susanna Camusso ma anche dalla Confindustria. Suona perciò paradossale l’ammonimento relativo al fatto che non sarebbero molte le chance di chi “vorrebbe far saltare questo clima” .  
Un’analisi che vede un solo nemico l’”estremismo sindacale” di chi parlerebbe a vanvera di diritti calpestati senza vedere i benefici scaturiti da vicende come quella di Pomigliano e ora Mirafiori. Senza un interrogativo sul fatto che in altri settori (tessili, alimentaristi, chimici) non ci sono stati imprenditori intenti a invocare ultimatum e deroghe. Sono passaggi che rinviano ad un altro tema che divide i sindacati, quello delle necessarie regole sulla rappresentanza, magari per sapere quanti sono veramente gli iscritti ai sindacati, per coinvolgere i lavoratori nelle decisioni dei vertici sindacali. Qui Bonanni trova accenti interessanti quando rievoca un compromesso raggiunto a suo tempo con Paolo Nerozzi (oggi senatore Pd) ma poi non realizzato. Forse potrebbe essere la strada buona per ricostruire un minimo di “convergenza unitaria tra le più forti organizzazioni sindacali” che anche per il segretario della Cisl appare “un'esigenza di fondo”. Potrebbe essere una premessa per affrontare le nuove burrasche attorno alla Fiat e inerenti la possibilità o meno di impedire la sepoltura del contratto nazionale, magari dando vita, se non abbiamo capito male, a un contratto nazionale del settore auto. E sarebbe bene, allora, cominciare subito a avanzare una proposta con alcuni punti fermi inderogabili, prima di subire la scalata e rinchiudersi in difesa. Il rischio sennò è quello di dar ragione – a proposito di ottimismo - al Censis quando disegna un Italia che frana verso il basso.

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