Il senso dei “#noeuro” per la svalutazione

Creato il 23 aprile 2014 da Keynesblog @keynesblog

di Joseph Halevi, Università di Sydney

Pochi giorni fa si è tenuto a Roma un convegno sul tema “Europa senza euro” [link]. Da ciò che ho letto, sembra che tutti (ad esclusione degli invitati “contro” la tesi del convegno) siano stati d’accordo sul fatto che, fuori dall’euro, con le flessibilità nei tassi di cambio, tutto funzionerà per il meglio. Si può essere più banali di così?

Basta un’osservazione per tagliare la testa al toro (si fa per dire, ci scusi il toro). I “tutti” del convegno provenivano non solo dall’Italia. Quindi si faccia l’ipotesi che il mondo politico, fulminato dalla chiarezza di costoro, li nomini ministri dell’economia nei rispettivi paesi del Mediterraneo. Tutti usciranno dall’euro ed ecco che le svalutazioni si annulleranno e i mediterranei entreranno in concorrenza “negative sum game” (gioco a somma negativa, ndr) tra di loro. Ma svaluteranno nei confronti del blocco Germania-Olanda-Austria-Finlandia. La Finlandia, inguaiata com’è (più sul piano economico che su quello sociale), lascerà il blocco subito, e anche l’Austria sarà sotto fortissima pressione, sia direttamente da parte dell’Italia che per la svalutazione della Slovenia, la quale, inevitabilmente, dovrà seguire l’Italia cui è legata a triplo filo. Sempre che la teoria funzioni nella pratica, non si può pensare che la Germania e l’Olanda possano assorbire un incremento delle esportazioni dei mediterranei, Francia ed Italia comprese (e non è poco), tale da far ripartire il gruppo degli svalutati.

Il risultato più probabile sarà un cambiamento dei rapporti di scambio, ma nel contesto di una recessione nel residuo blocco Germania-Olanda (le quali perdendo esportazioni, perderanno occupazione e domanda interna) e quindi con bilance commerciali più favorevoli ai mediterranei, ma su un livello di domanda aggregata totale più basso. Vale a dire l’aggiustamento in termini di prezzi internazionali (tassi di cambio) non può aggirare l’effetto negativo sulla domanda complessiva dei paesi la cui moneta si rivaluterebbe (Germania, Olanda e pochi altri). Pertanto la vera soluzione dipenderà da quanto importerà lo Zio Sam (gli Stati Uniti, ndr). Tutto finisce in gloria, cioè in America (del Nord).

Il convegno ha inoltre mostrato la strana e malsana convergenza tra marxismo senza idee (e ce n’è parecchio in giro), e la destra berlusconiana, oltre ai neoclassici con tanta parte e nessuna arte. No good. L’unico aspetto veramente interessante del convegno è stato l’intervento di Bolkestein, il Commissario UE della famosa direttiva sulla liberalizzazione dei servizi. Ha cominciato col citare Kohl, che all’europarlamento nel 1991 disse che l’unificazione politica e fiscale deve precedere quella monetaria, confermando così che l’euro è una pura creazione della mente megalomane delle élites stataliste francesi e dell’ iper-machiavellico Mitterrand. Il resto del suo intervento era sul fallimento senza appello dell’eurosistema. Quello di Bolkestein è un intervento interessante perché è come se un cardinale una volta importante affermasse ad un seminario teologico che in effetti Maria era una donna normale e Gesù non è mai esistito. Cosa diciamo quindi? Come facciamo a garantire la continuazione politica e finanziaria della holding Chiesa Cattolica?

Infine, come si fa, in un convegno sulla desiderata fine dell’euro, non porre al centro dell’analisi i movimenti finanziari? (Non come complotti, non si può reggere più quest’approccio che a sinistra domina, visto che è facile). Oggi i movimenti finanziari determinano i rapporti di scambio, determinano i tassi di cambio, non viceversa. E sarà così perché questo è il capitale oggi e per moltissimi anni e decenni ancora.


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