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Il senso del peccato

Da Gabriele Damiani
Che noi umani si abbia la capacità di far del male al prossimo è un fatto incontrovertibile. Può darsi benissimo che a tanti non importi un emerito fico secco, me ne rendo perfettamente conto. Invece a me la cosa provoca non pochi problemi e ho cominciato a rifletterci su.Se si esclude il sadico, che gode a far soffrire gli altri e per il quale dunque la questione non si pone, noi comuni mortali siamo in genere portati a far del male sotto l’influsso di sentimenti come la rabbia, l’invidia, l’ingordo egoismo, la superbia o anche per reagire ai torti subiti.Volenti o nolenti le cose stanno così e poiché tutto ha un prezzo, il più delle volte, se non addirittura sempre, quando coltiviamo pensieri peccaminosi o compiamo atti a danno di altri proviamo poi un pungente rimorso.Il rimorso è la ferita che il peccato c’infligge.Il rimorso non dà né allegria né felicità, tutt’altro. Ciò non significa però che sia un sentimento distruttivo. Chi ha la capacità di provarlo è una persona sensibile, una persona che non ha perduto il senso del peccato.Se peccare ci rende infelici, se peccare suscita in noi il rimorso, a ben vedere abbiamo già la soluzione a portata di mano. Per sfuggire all’infelicità basta non peccare. Non che sia facile, per carità, non affermo questo. Però l’introspezione, ossia un onesto e pignolo esame di coscienza, riportandoci alla mente le nostre azioni vergognose, può aiutarci a correggere i comportamenti malsani e a sviluppare un efficace autocontrollo.La vera espiazione del male recato agli altri consiste quindi in un processo di maturazione che ci conduce al dominio di noi stessi e a non ripetere gli errori commessi in passato. E la padronanza di sé, sottolinearlo non nuoce, consente di vivere in armonia con la propria coscienza e con gli altri esseri umani.Sì, diciamola tutta, vincere le nostre debolezze ci rende gioiosi.

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